Paky è davvero la next big thing del rap italiano?

Paky è considerato a tutti gli effetti la next big thing del rap italiano. Una promessa, che gode già del supporto di gran parte della scena, ma che ha ancora bisogno di affermarsi e che di strada per farlo ne deve fare parecchia.

Se guardiamo il suo percorso, le collaborazioni e i singoli che hanno preceduto l’uscita di Salvatore, il suo primo disco, non possiamo non dire che se non avesse avuto la fortuna di firmare con Universal oggi non godrebbe di questa fama. E molto probabilmente non avrebbe neanche collaborato con Sfera Ebbasta, Marracash e Guè.

La fortuna di Paky e il fatto che a soli 23 anni goda di questa popolarità è imprescindibile dalla sua firma con Universal.

Lui ha fatto il suo, per carità, con singoli street, molto crudi e un immaginario assolutamente credibile e se vogliamo anche un livello di scrittura superiore a quelli che trattano i suoi stessi argomenti. Ma anche qui, scrivere meglio di Rondodasosa o Baby Gang è un gioco da ragazzi. In questo caso Rozzano 1, San Siro 0.

Ma ovviamente non è una gara. Anche se la musica è anche competizione, però appunto è musica.

Paky è stato bravo nel creare interesse e curiosità intorno al suo primo disco, che era davvero molto atteso.

Si è mosso come una superstar nel pubblicare i singoli che lo hanno preceduto, nell’organizzare un mega concerto nella sua Rozzano a poche ore dalla release e nel pubblicare la tracklist in zona Cesarini. Salvatore è un buon primo disco. Dentro c’è Paky, il suo vissuto, la sua realtà, la sua Rozzano con i suoi meccanismi, c’è il dolore, la rabbia, la perdita dello zio a cui ha dedicato il disco, ma c’è anche la tamarraggine, la luce e i banger street. C’è tutto l’immaginario e la vita di Paky, tra luci e ombre. I testi sono crudi, ma essenziali, i featuring azzeccati, del resto come potrebbe essere il contrario? Dal momento che nel primo disco collabora già con due pesi massimi come Guè è Marracash e aveva la possibilità di metterci chiunque. Paky convince, ha un modo di fare musica che cattura perché ti dà la carica, ma onestamente quanti rapper abbiamo visto esplodere e convincere con il primo disco e poi ridimensionarsi e diventare solo uno dei tanti?

Salvatore è un buon punto di partenza, ma solo il tempo ci dirà se Paky da promessa diventerà una conferma.

Siamo davanti a un disco diviso a metà, e a dividerlo è proprio la title track, Salvatore, il brano dedicato allo zio scomparso in un incidente d’auto. Una canzone toccante, sentita, con la voce rotta dal dolore e decisamente ben riuscita.

Da una parte abbiamo brani più leggeri e dall’altra più intimi, ma il filo conduttore è sempre lo stesso: la strada e tutto quello che ne consegue, il suo vissuto, la rabbia, la foga, il bisogno di farcela, il dolore, le urla, il modo di raccontare crudo e diretto, spesso e volentieri volgare e il peso di una passato a soli 23 anni. Gli argomenti sono sempre gli stessi seppur divisi in 17 tracce e con mood e tappeti sonori diversi e soprattutto con il supporto degli ospiti. Marracash, Guè, Mahmood, Luchè, Geolier e Shiva sono gli artisti che hanno accompagnato Paky in questo progetto. E proprio alcuni di loro regalano al rapper di Rozzano i brani migliori del disco: No Wallet con Marra, Vivi o Muori con Guè e Giorno del Giudizio con Mahmood e Luchè.

Salvatore, non solo è un disco diviso tra luci e ombre, ma è anche un disco che divide. Non è chiaro infatti perché Paky abbia tutto questo successo, perché sia così acclamato. È solo perché è stato spinto nel modo giusto o perché è davvero la next big thing del rap italiano?

Io opto per la prima, ma solo il tempo ci darà la risposta.

Lascia un commento