Ferro del mestiere di Jake La Furia – la recensione di Rebel

Siamo onesti, durante il periodo dei Club Dogo Jake era considerato uno dei rapper più forti, forse anche più forte di Guè. Eppure la sua carriera solista ha sempre faticato a decollare. Mentre Guè continuava a spaccare sempre di più, a rafforzare la sua posizione da big del rap e a macinare numeri e soldi, Jake vacillava. Tutti sapevamo che era un big, che la Furia era il vero re di Milano, ma i suoi dischi solista, Musica Commerciale e Fuori da qui, non hanno mai raggiunto grandi riscontri, sia in termini di vendite che di critica, portandolo addirittura a non fare neanche tour ufficiali.

Non sono dischi da buttare, ma non sono neanche dischi all’altezza di Jake, o dischi che metteresti in un’ipotetica classifica dei dischi migliori degli anni 2000. Ci si aspettava di più da lui e lui poteva fare molto di più. Di certo però non ci si aspettava il seguito: quei brani reggaeton davvero pessimi e non alla Jake, che ha provato anche a diventare un personaggio in tv, in radio e sul web. Tentativo davvero poco riuscito. Eppure bastava essere Jake. Bastava fare rap come ha sempre fatto.

Per fortuna che poi è arrivato Emis Killa e 17, che lo hanno riportato sulla strada giusta.

E finalmente arriva Ferro del mestiere, il suo terzo album solita. L’hype per questa uscita era alle stelle. Venerdì gli occhi e le orecchie erano tutte puntate sul suo nuovo progetto. Siamo rimasti soddisfatti? Jake ci ha dato finalmente quello che volevamo?

Non c’è dubbio: Jake è uno dei rapper preferiti del tuo rapper preferito, anche se magari non lo dice. Ed è tornato in grande forma. Ascoltando Ferro del mestiere sembra davvero di sentire brani dei Dogo, con quello stile diretto, quelle rime crude e street che solo Jake sa fare. E se è tornato a fare rap e ha abbandonato il reggaeton, quei ritmi muovi chiappe e le canzoni alla 883, il merito è di Emis Killa, che in tempi non sospetti lo ha spinto a fare un disco come 17.

Jake ci ha preso gusto e in Ferro del mestiere ci sbatte in faccia il fatto di essere uno dei migliori rapper italiani. Già lo sapevamo eh, ma a volte è bene ricordarlo, soprattutto dopo che ha vacillato per parecchio tempo.

Ferro del mestiere è un disco granitico, dove producer e ospiti si amalgamano perfettamente allo stile di Jake, Ana Mena compresa, che per l’occasione si è comprata un glock. Finta eh…

A parte gli scherzi, Jake riesce a passare dall’old style di brani come Yeah o Caramelle da uno sconosciuto a pezzi con un mood decisamente più moderno e trap come Jumpman fino ad arrivare ai confine del pop, come in Senza niente da dire, o alla Dogo-style come La cosa giusta.
Manca il featuring internazionale, che va tanto di moda, ma a quanto pare Jake se ne frega delle mode, fa il rap che gli piace ed è come se ci dicesse “il rap se lo vuoi fare si fa così”.

In sostanza è un ottimo disco, una sorta di instant classic, ma non un capolavoro. Jake poteva fare molto di più e oggettivamente ci si aspettava di più da lui. Ci si aspetta sempre di più da lui. È come se avesse fatto il minimo sindacale, della serie massima resa con il minimo sforzo.

Jake è uno che conosce i ferri del mestiere e sa molto bene come rappare. Alcune cose, sicuramente, sono ripetitive e per certi versi banali, ma Jake ha finalmente ritrovato se stesso e Ferro del mestiere è il disco che i suoi fan si aspettavano dieci anni fa e che più o meno aspettano da 10 anni.

Non sarà il disco dell’anno e non farà i numeri di Marra o Guè, ma è un disco con un Jake la Furia credibile, che finalmente dà al suo pubblico Jake.

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