
Sono già passati 7 anni da Orange County California di Tedua
Fa strano pensare che siano già passati sette anni dal primo disco ufficiale di Tedua e fa ancora più strano, se non addirittura sorridere, che sette anni fa si diceva che Tedua non andava a tempo e che non aveva flow. Si diceva anche che non si capiva granché di quello che voleva raccontarci nelle sue canzoni. Forse perché è uscito in un periodo in cui il rap era diventato più basico, più attento al suono che alle parole, dove andava per la maggiore parlare di Guggi, Versace e gang varie. Tedua però aveva una storia da raccontare, la sua, e lo ha fatto in questa trilogia che ha raggiunto il culmine con Orange County California.
Tedua è il Ryan Atwood della situazione, viene da un quartiere, senza una famiglia stabile e si ritrova nella sua O.C., che non è proprio in California, ma sulla costa ligure. Una storia che troviamo nel disco. Se Ryan aveva Seth, Tedua ha i suoi amici su cui poter contare, che lo aiutano nei momenti più tormentati e che lo affiancano anche nella sua dimensione artistica.
Orange County California è un progetto in cui emergono la rabbia, il disagio, ma anche l’energia e la voglia di cambiare vita di Tedua. È un progetto estremamente vero, che trasuda realtà e umiltà nel non crogiolarsi nel suo vissuto ma nel trovare una via d’uscita, una luce in fondo al tunnel, la musica, che col senno di poi, 7 anni dopo, possiamo dire che lo ha davvero salvato.
Dal punto di vista musicale e dei testi, lì per lì è sembrato un disco strano, quasi come se Tedua fosse una sorta di meteora, ma riascoltandolo oggi, da una parte ci manca quel Tedua così genuino, quasi filosofico, “diverso” nel modo di scrivere e nell’approcciarsi a quei suoni, e dall’altra riusciamo davvero a capire cosa ci voleva dire in quelle 21 tracce.
Una cosa però è stata chiara fin dal primo ascolto: per capire Tedua e Orange County California non sarebbe bastato un ascolto. È il tipico progetto che ti spinge ad approfondire, ad ascoltarlo e non solo a sentirlo.