Mentre Los Angeles Brucia di Fabri Fibra – la recensione di Rebel

Cosa ci aspettavamo da Fabri Fibra? Cosa pensavamo di sentire in un nuovo disco di Fabri Fibra? Ho letto un po’ di tutto su Mentre Los Angeles Brucia. C’è chi lo ritiene un capolavoro, chi una mezza merda, chi pensa che Fibra a quasi 50 anni avrebbe dovuto fare meglio, essere più introspettivo, meno basico nelle rime e nei contenuti. Io credo che  

Fibra ha fatto un disco alla Fibra, con rime alla fibra, con brani che ricalcando i lavori del suo percorso artistico. È un problema questo? Perché io, se ascolto Fabri Fibra, mi aspetto di sentire brani alla Propaganda, critica sociale, ironia, pezzi irriverenti alla Mr. Simpatia, hit radiofoniche e frasi dirette, semplici, che arrivano al punto. So che non ci troverò auto celebrazione, armi, puttane, gioielli, macchine, brand di moda, strada, spaccio e gang gang. Ed è proprio questo il punto. Fibra ha fatto Fibra. Ti piace? Lo ascolti. Non ti piace? Non lo ascolti. Chi lo ascolta da sempre riesce a capire. Sente il Fabri Fibra ironico che ci sbatte in faccia il fatto che 

possiamo essere migliori di così” in brani come Stupidi e Tutti pazzi e sente il Fibra che si mette nei panni di Anna e Marco, due ragazzi vittime di bullismo in Tutto andrà bene. E ancora sente il Fibra che punta il dito contro l’industria musicale, la scena rap e se stesso in Karma Ok: “Le etichette si aspettano sempre la hit, il rap italiano fa schifo. Tutti in cerca del singolo estivo, pure io non prendiamoci in giro. Meglio questo che starmene in giro. O rinchiuso dentro qualche ufficio a fotocopiare dal vivo”.

Mentre Los Angeles Brucia ci fa fare i conti con noi stessi, ci fa pensare quanto le nostre vite siano ciniche ed egoriferite al punto che anche mentre una città brucia, un paese viene bombardato o si combatte una guerra in un posto lontano da noi nel mondo, noi continuiamo ad andare avanti con la nostra solita vita, abitudinaria e al sicuro.

E Fibra ce lo sbatte in faccia con una freddezza disarmante, come ha sempre fatto del resto, anzi, forse col tempo si è pure ammorbidito, ha smussato un po’ gli angoli, ma è rimasto lui. Il suo stile, il suo modo di scrivere, di raccontare e raccontarci sono rimasti gli stessi. Di fatto non esiste in Italia nessun altro rapper come Fabri Fibra, nel senso che nessuno ha seguito le sue orme, perché non è facile farlo. Da una parte è uno dei pochi che se deve dire qualcosa su qualcuno fa ancora nomi e cognomi e dall’altra è forse l’unico che con una tale semplicità riesce a fotografare sempre l’italiano medio, e la società in cui viviamo. 

E lo fa in un modo così disarmante, semplice e diretto che non puoi che dargli ragione. 

Ho apprezzato anche gli ospiti di Mentre Los Angeles Brucia, pochi ma utili e il fatto che l’album si apre con un cameo importante: Francesco Guccini, con uno dei brani più importanti della sua storia, “L’avvelenata” che Fibra utilizza per raccontare “il dramma dell’artista e la continua lotta tra l’urgenza di dire qualcosa e la paura di essere sostituiti velocemente”.

Nel disco anche la voce di un altro cantautore tra i più amati anche oltralpe, Andea Laszlo De Simone, che Fibra ha campionato utilizzando il suo brano “VIVO” per raccontare nella traccia che prende lo stesso titolo “la grande voglia di andare avanti anche in situazioni difficili”.

Mentre Los Angeles Brucia non è un capolavoro, non posso dire che sia il disco migliore di Fabri Fibra. Innanzitutto è troppo lungo, 17 tracce erano già più che sufficienti, aggiungerne altre 6 che in fondo non danno un valore aggiunto al progetto, ma lo rendono solo ridondante e a tratti pesante, l’ho trovato superfluo. Io avrei tagliato al posto di allungare, avrei tenuto le tracce più incisive e avrei proprio eliminato le altre. 

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