L’Angelo del Male di Baby Gang – la recensione di Rebel

Alla presentazione alla stampa di L’Angelo del Male, Baby Gang non era presente. Non gli è stato dato il permesso di incontrare la stampa e rilasciare interviste. Era agli arresti domiciliari e la presentazione è avvenuta prima che fosse arrestato nuovamente e portato nel carcere di Busto Arsizio dove si trova tutt’ora. A presentare il suo disco, oltre al suo team, c’era Paola Zukar (manager tra gli altri di Marracash, Madame, Fabri Fibra e da poco dí Tiziano Ferro). Paola Zukar ha definito il disco “un capolavoro neorealista di rap italiano che nasce in mezzo a milioni di difficoltà”. Io onestamente mi permetto di dissentire.

Indubbiamente il disco è nato tra parecchie difficoltà, del resto conosciamo tutti la storia passata e attuale di Baby Gang e i suoi innumerevoli guai con la giustizia, ma definirlo capolavoro mi sembra eccessivo. Diciamo più che altro che è la solita marchetta ben riuscita.

Baby Gang è attualmente l’artista italiano più ascoltato all’estero su Spotify, dove vanta ben 8,1 milioni di ascoltatori mensili. Una marea, se pensiamo che Guè ne ha 5,8, Marracash 5,2 e Lazza 6, ma non potendo esibirsi dal vivo, non potendo neanche incontrare la stampa o rilasciare interviste, da qualche parte Baby Gang deve fare cassa e quindi ecco spiegata la carrellata di ospiti. Stiamo parlando di 16 tracce e 20 featuring, alcuni dei quali decisamente inutili, come Rocco Hunt in Serenata Gangster. Altri invece sono volti a macinare streaming su streaming, come Sfera Ebbasta in Madame e Lazza e Tedua insieme in Sola.

Detto questo, il disco non è da buttare, le produzioni sono ottime, gli argomenti di Baby Gang monotematici, si parla di delinquenza, armi, droga, soldi, sbirri, rivalsa, rabbia, violenza, ma oggettivamente è quello che conosce e che vive, quindi di cosa potrebbe mai parlare? Di quello di cui parla dagli inizi della sua carriera e almeno si può dire che la coerenza non gli manca.

I featuring, come detto in precedenza, sono troppi e l’impressione è che il disco in sostanza sia più il frutto una scelta studiata ad hoc dall’etichetta, che una reale espressione artistica di Baby Gang. Avrei onestamente preferito meno ospiti, magari più artisti come lui che “vengono dal basso” e che provano a cambiare la propria vita con la musica, quindi nomi meno noti, che questa carrellata di ospiti, perché avrebbero dato maggior risalto alla veridicità del progetto e più senso ai racconti e alla storia di Baby Gang.

Il team del rapper ha sottolineato come siano state “tante le difficoltà per lavorare al meglio al disco, considerando le restrizioni degli orari, del braccialetto elettronico e anche del fatto che è stato difficile organizzare un calendario per i feat”.

Sicuramente non deve essere stato facile, ma non facciamo passare Baby Gang per un martire, perché ricordiamoci che è agli arresti domiciliari e non in vacanza e se vogliamo è già tanto che abbia potuto pubblicare musica. Cosa assolutamente non scontata, se pensiamo che Shiva, che attualmente è agli arresti domiciliari, ha il divieto di pubblicare musica e usare i social. Quindi, se vogliamo, gli è andata pure di gran lusso.

Sicuramente Baby Gang ha dalla sua il fatto di essere in un certo senso il portavoce di tanti ragazzi come lui, che vivono ai limiti della legalità, o nella criminalità per dirla tutta, i cosiddetti maranza, che si arrangiano come possono. Ragazzi che vivono in situazioni difficili, senza una famiglia accanto, senza privilegi, ma anche senza affetto o il minimo sindacale e che delinquono sia per necessità sia perché credono sia l’unica soluzione. Questo rende Baby Gang una voce da ascoltare, ma non da seguire, perché se da una parte la musica, come dice anche nel disco, rappresenta il suo riscatto e la sua rivalsa, la realtà pare essere che non ha ancora deciso di abbandonare la strada vecchia per la nuova. Ed ecco che i testi sono per lo più cupi ed estremamente crudi e incazzati, ma è forse quella rabbia che fa sì che in molti possano identificarsi nelle sue parole.

L’angelo del male mostra da un lato il Baby Gang di sempre, ma dall’altro una certa maturità artistica. Se i racconti sono per lo più sempre gli stessi, va dato atto a Baby Gang il fatto di riuscire a destreggiarsi in modo discreto su beat molto vari e di mostrarci flow interessanti. Baby Gang ci prova, a volte riesce, altre ci fa tirare un sospiro di sollievo quando entra l’ospite di turno e risolleva il pezzo.

In sostanza non siamo davanti a un capolavoro, come lo ha definito la Signora Zukar, ma a un progetto mediocre, dove oggettivamente a farla da padrone non è il protagonista, ma i tanti ospiti e che sicuramente farà incetta di streaming e certificazioni.

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