Dalle cronache di Narnia alle cronache di Ernia

È evidente che Ernia stia per annunciare l’arrivo di un singolo o di un disco. Da cosa lo si deduce? Dal fatto che ha eliminato ogni post, immagine del profilo compresa, da Instagram. E da qualche giorno sta ripercorrendo tramite foto che lo ritraggono bambino e ragazzino la sua vita, raccontandoci aneddoti interessanti. Come l’amicizia con Tedua e il suo primo approccio al rap e alle riviste porno.

Un pomeriggio in quartiere vidi un ragazzetto gesticolare in piedi su una panchina mentre cantava: Mario aveva un anno in meno di me, avevamo fatto l’asilo e qualche oratorio estivo insieme. Ho sempre pensato fosse un po’ matto, ma sapevo che quello che stava facendo mi interessava, l’avevo già cercato, o comunque dentro di me c’era la voglia di capire come farlo.

Mi spiegò che era stato ad una jam, un torneo di freestyle che veniva organizzato non lontano da lì. Due settimane dopo ce lo accompagnai e così iniziò uno dei momenti più entusiasmanti della mia vita. […] Intanto crescevamo e compravamo riviste porno nascondendole sotto a un cespuglio nel parchetto del quartiere, insieme a cibo e merende rubate al mercatino comunale. Arrivò il momento di scegliere i nostri nomi da rapper, Mario volle chiamarsi “Incubo”, mentre io “Snake”. Ernia fu il soprannome che mi diede una mia compagna di classe, da quel momento me lo sarei portato dietro per sempre. Quando Mario dovette trasferirsi a Genova ci rimasi malissimo. Stavo per iniziare la prima liceo e mi sentivo un po’ abbandonato. Forse avevo scoperto anche il valore dell’amicizia vera“.

 

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12-14 anni: Stupore Mi ero trasferito a Qt8 da 2 anni, mio padre aveva comprato casa facendo il mutuo e ci eravamo spostati più un là dal centro di forse un km. Un pomeriggio in quartiere vidi un ragazzetto gesticolare in piedi su una panchina mentre cantava: Mario aveva un anno in meno di me, avevamo fatto l’asilo e qualche oratorio estivo insieme. Ho sempre pensato fosse un po’ matto, ma sapevo che quello che stava facendo mi interessava, l’avevo già cercato o comunque dentro di me c’era la voglia di capire come farlo. Mi spiegò che era stato ad una jam, un torneo di freestyle che veniva organizzato non lontano da lì. Due settimane dopo ce lo accompagnai e così iniziò uno dei momenti più entusiasmanti della mia vita. Alle jam eravamo sempre i più piccoli, il rap si ascoltava dai 18 anni in su. Oltre alla musica iniziammo ad ascoltare termini sul sesso, la violenza, i soldi, i rapporti di amicizia e inimicizia tra persone più adulte di noi che ancora non conoscevamo. Non si trattava di insegnamenti negativi o positivi, erano insegnamenti e basta, era il mondo dei grandi. Finite le jam ci precipitavamo a casa a scaricare su eMule le canzoni dei rapper che avevamo sentito nominare. Intanto crescevamo e compravamo riviste porno nascondendole sotto a un cespuglio nel parchetto del quartiere, insieme a cibo e merende rubate al mercatino comunale. Lì al boscaccio una ragazzina fece vedere la figa a me e a Mario, non so cosa le avessimo promesso in cambio, ma non me lo dimenticherò mai. Arrivò il momento di scegliere i nostri nomi da rapper, Mario volle chiamarsi “Incubo”, mentre io passai da “Snake” a “.@T”. Ernia fu il soprannome che mi diede una mia compagna di classe, da quel momento me lo sarei portato dietro per sempre. Quando Mario dovette trasferirsi a Genova ci rimasi malissimo. Stavo per iniziare la prima liceo e mi sentivo un po’ abbandonato. Forse avevo scoperto anche il valore dell’amicizia vera. Se ripenso a quegli anni nei miei ricordi è sempre estate e c’è sempre il sole.

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O come l’arresto e il tradimento da parte di un amico accennato in alcuni suoi testi, come Lei No – Il tradito dove Ernia si rivolge a un amico, colpevole di averlo tradito per aver intrapreso una relazione con una sua ex ragazza della quale era però ancora innamorato e sostiene di averlo coperto durante un arresto. Ernia dice: “Provo a distrarmi e penso sempre a quello / Vedere che la baciano le labbra che mi chiamavan fratello / Ti ricordi ti ho coperto in un arresto / Ma mai mi son permesso di chiedere qualcosa in cambio per questo“.

 

 

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15-17 anni: Rabbia Quando Mario partì cominciai a bazzicare Bonola. In piazza la competizione tra giovani maschi, anche dello stesso gruppo, è spietata. Questione di ormoni, di costruzione del carattere, un adolescente è molto più aggressivo e arrabbiato di un adulto. Crescendo ti plachi, ma prima ti devi imporre, dire al mondo che esisti mentre questo non ti ascolta perché a momenti manco hai la barba. Mi hanno arrestato la prima volta che avevo quasi 14 anni. Furto aggravato con scasso di un motorino in una cantina. Indagine archiviata, non ero imputabile. A 20 giorni dai 15 venni arrestato di nuovo: porto d’armi illecite a fini d’offesa. Dissero di avermi visto portare delle mazze per una rissa. In realtà coprii un ragazzo con il giubbotto uguale al mio. Non cantai, ma lui non mi ha mai ringraziato. La strada fa cagare, la piazza pure: non c’è nulla di nobile nelle stronzate che ho fatto da adolescente. Dopo la Bonola Family entrai nei Razza A Parte. I ragazzi erano tutti più grandi di me, la cosa mi gasava, ero un po’ la loro mascotte. Doppia A, il leader del gruppo, credeva davvero che ce l’avrei fatta. Non credo di essere mai riuscito a ringraziarlo abbastanza per questo. Nei weekend facevamo le aperture a gente già affermata. Ricordo una serata storica di Noyz, il locale era gremito. Non ho mai avuto paura dei concerti o di suonare, ma quella sera il nostro live non fu un successo. La storia dei gruppi di apertura ai tempi era abbastanza triste e umiliante, bisognava portare gli amici a supportarti perché nessuno conosceva i tuoi pezzi. Appena arrivava l’artista di punta ti davano un bel calcio nel culo e dovevi pure liberare il backstage. Se a qualche giovane che suona in mia apertura succede o è successo lo stesso, mi scuso, so cosa si prova. Il ricordo di quegli anni è scuro, d’inverno il sole scendeva sulla piazza alle 16 e tutto succedeva al buio. A 16 anni mi fidanzai con una ragazzina del quartiere. Fu il mio primo amore, durò un anno, quando ci lasciammo mi si spezzò il cuore. La storia poi riprese per quattro anni, ma si era rotto qualcosa dentro che non tornò più come prima. Avevo creato uno scudo d’indifferenza contro il dolore.

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Nel post Ernia racconta l’accaduto nei dettagli:
Sono stato arrestato la prima volta quando avevo quasi 14 anni mi accusarono di furto aggravato con scasso di un motorino che si trovava all’interno di una cantina. L’indagine fu però archiviata, dato che non ero imputabile. Quando mancavano venti giorni al mio quindicesimo compleanno mi arrestarono un’altra volta, l’accusa in questo caso era di porto d’armi illecite a fini d’offesa. Dichiararono di avermi visto portare delle mazze per una rissa. In verità coprii un altro ragazzo, che indossava un giubbotto uguale al mio. Non cantai, nonostante questo lui non mi ha mai ringraziato. La strada fa cagare, la piazza pure: non c’è nulla di nobile nelle stronzate che ho fatto da adolescente“.

 

Arriviamo al quarto post. Sono i 18-20 di Ernia e lui ci racconta della sua esperienza con i Troupe d’Elite e qualcuno giustamente commenta TIC TOC È L’ORA DEL DISCO FRA. Perché per quanto siano interessanti gli aneddoti e le cronache di Ernia, a una certa se dobbiamo arrivare al presente e annunciare sto benedetto disco, la strada sembra essere ancora lunga e tortuosa.

 

 

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18-20 anni: Inadeguatezza Mentre stavo nei Razza A Parte avevo già conosciuto tutti i membri di quello che sarebbe diventato il mio crew. Con la Troupe D’Elite riscuotemmo fin da subito un discreto successo sul web, cosa che ci portò a firmare con l’etichetta indipendente del momento e ad avere un contratto con Sony. Eravamo colorati, strafottenti e di rottura rispetto a tutto ciò che in quel momento era l’hip hop italiano. Non volevamo neanche assomigliare all’hip hop italiano. Avevamo 18 anni, eravamo carichi a molla, volevamo parlare di ragazze, di party, di chiavare e di fare i soldi. Parlare di strada non ci è mai interessato, ma nel 2012 se volevi fare rap sembrava tu potessi raccontare solo quello, e a farlo, spesso, erano persone che la strada non l’avevano mai neanche vissuta. Noi volevamo fare la musica per spaccare, per non doverla manco più immaginare la strada. Questo avevamo capito del rap: lo devi usare per uscirne, non per entrarci. In questo senso sono molto più G i ragazzini di ora che cantano dei soldi, dei giovani “veri rapper” che circolavano 10 anni fa. Forse eravamo troppo immaturi e si sentiva nei testi, forse l’ambiente non era pronto. Poco importa. Molti comunque non presero bene il fatto che un gruppo di appena diciottenni potesse essere tanto in vista, e così anche i rapporti tra di noi iniziarono a incrinarsi. Io, che fino a quel momento ero stato convinto di esser buono a fare il rap, iniziai a dubitare di tutto. È come quando litighi con la tipa perché non hai messo giù bene una frase e lei ti fraintende, cerchi di spiegarti, ma non vuole sentire ragioni perché si è già offesa. Rimani lì come un coglione, non sai se sentirti in colpa per averla detta o perché sembra che tu ti debba giustificare. Cadere. Mi diplomai e strinsi amicizia con Lorenzo, un ragazzo che era arrivato nella mia classe in seconda liceo. Fu l’unica persona ad essere sempre presente per me in quel periodo, sono ancora molto grato e legato a lui per questo.

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Un modo interessante di annunciare il disco nuovo, ma anche un po’ prolisso. Quanti altri capitoli mancano alla fine?

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