Ci voleva Shablo per portare il rap a Sanremo

Negli ultimi anni siamo stati abituati alla partecipazione di rapper al Festival di Sanremo che non portavano brani rap. Li abbiamo chiamati urban, perché definirli pop pareva brutto, ma di fatto si sono adattati a quel contesto forse per la voglia di diventare più popolari e di sfruttare quel palco per allargare il loro pubblico. Ed è inutile dirlo, se penso a Lazza e Geolier, ci sono riusciti. Le loro canzoni restano fighe, ma di hip hop avevano ben poco.

Lo scorso anno mi ero un po’ esaltata nel sentire l’extrabeat nel brano portato da Il Tre, ma quest’anno finalmente possiamo dire che il RAP È A SANREMO.

Lo ha portato Shablo con Guè, Tormento e Joshua. Già nelle settimane scorse sia Guè che Shablo avevano detto che La mia parola era un pezzo mega hip hop. E lo è davvero. È hip hop allo stato puro, nella sua essenza. È un omaggio al genere e alla cultura. Per dirla semplice è una figata.

La mia parola è un mix di sonorità classiche che però guardano al contemporaneo e abbracciano in un certo senso questo bisogno di riportare la musica rap alla sua forma più classica, che poi è anche un po’ la tendenza attuale, che Shablo ha abbracciato, cavalcato e fatto sua, dettando sicuramente una nuova tendenza. Tutto è ciclico, nella moda e nella musica e non c’è che dire, se penso all’hip hop, non posso non dire che questa canzone lo rappresenta, a livello sonoro e stilistico.

Joshua con il suo stile R&B ha creato un ritornello pazzesco, Tormento è la persona giusta su un beat di questo tipo perché è proprio il suo pane quotidiano. E Guè? Guè ha fatto Guè. La sua strofa è da Guè, punto, non da Guè che deve adattarsi a Sanremo e ancora una volta ha fatto una strofa bomba.

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