Spagna, il rapper Hasél condannato per insulti ai reali
Benvenuti nel Medioevo.
Se pensi che in Italia sia tutto troppo rivolto al politically correct e la libertà d’espressione stia venendo meno, in Spagna è ancora peggio.
Il rapper Hasél è stato condannato a nove mesi di carcere con l’accusa di apologia di terrorismo e ingiurie alla Corona e alle istituzioni dello Stato. Nel mirino sono finiti tweet e canzoni di Hasél ritenuti contro la Corona, il Partito Popolare e l’esercito.
“Non serve concordare con ciò che canto per riconoscere la madornale violazione della libertà d’espressione” commenta Hasél e il punto è proprio la violazione della libertà di espressione.
Sulla vicenda interviene anche Amnesty International che condanna duramente il trattamento riservato a Hasél: “nessuno dovrebbe essere condannato penalmente per twittare o cantare qualcosa di sgradevole o scandaloso. Chiediamo da anni che si elimini il delitto di apologia del terrorismo dal Codice penale. Crediamo che anche le ingiurie alle istituzioni dello Stato debbano sparire. fare rap non è un delitto”.
Hasél non è il primo rapper a subire una condanna per i contenuti nelle canzoni. Era già successo a Valtonyc, che, dopo essersi augurato la fucilazione dei Borbone, aver esaltato le azioni dell’Eta e inneggiato alla morte di chi veste la divisa della polizia, ha dovuto rifugiarsi in Belgio per evitare di essere arrestato e chiuso in una prigione. E se si parla di lotta alla libertà di espressione, la Ong Free Muse, che si occupa proprio di questo, nel 2019 ha contato ben quattordici casi di artisti condannati in Spagna, che registra il numero più alto in tutta Europa.
In Spagna, in seguito alle accuse a Hasél, il mondo della cultura ha indetto un manifesto di condanna, firmato da oltre duecento artisti, tra i quali Pedro Almodóvar, l’attore Javier Bardem e il cantante Joan Manuel Serrat, e nel quale si legge: “le persecuzioni a rapper, utenti di Twitter, giornalisti, così come ad altri rappresentanti del mondo della cultura e dell’arte che esercitano il proprio diritto alla libertà di espressione sono diventate purtroppo una costante nel nostro Paese“.