Perché molti stanno criticando il nuovo disco di Drake?

Drake, una delle star più prolifiche e influenti del mondo, ha pubblicato a sorpresa il suo settimo album in studio, Honestly, Nevermind, ed è un disco house.

Il che ha sconvolto gran parte del pubblico statunitense e della critica, perché uno come Drake, che ha passato gli ultimi dieci anni cercando di essere uno dei più grandi e migliori rapper viventi, non può fare house. Perché l’hip hop non può mischiarsi con la house. Perché nel migliore dei casi Honesly, Nevermind, è stato definito un disco estivo da mettere come sottofondo alle grigliate in giardino.

Ha detto bene Greg Willen, che, parlando dell’ultimo disco di Drake, ha commentato: “Pensate un attimo. Il mercato musicale americano, che tutti venerate, non riesce ad accettare Drake che droppa un disco con sonorità dance.

Siamo sicuri che è ancora quella la lanterna verde da seguire?

Fidatevi siamo molto più avanti”.

Noi siamo davvero più avanti, ma anche Drake lo è.

Ha preso l’house, che storicamente è lontana anni luce dall’hip hop e dalla black music e l’ha portata nell’hip hop, prendendosi una valanga di critiche.

Per la maggior parte delle persone, infatti, l’hip-hop e l’house sono due mondi che raramente si incontrano, forse per le ragioni che una volta ha spiegato André 3000 degli Outkast: “Per il ragazzo medio cresciuto in strada, la musica house è un po’ collegata alla comunità gay … pensano che se ascolti la house o sei gay o sei bianco“.

Eppure musica come questa ha sempre fatto parte di Drake: basti pensare a “Take Care” con Rihanna del 2011, o a “Passionfruit” del 2017 (che aveva anche un campione di Moodymann); ma anche a “Fountains” di Certified Lover Boy in duetto con la star nigeriana Tems, e si poteva pensare che Drake avrebbe virato verso l’’afrobeats, ma non di certo verso la house.

Ma Drake ha optato per la musica da club – il b.p.m. medio in questo disco è di oltre 100 – costruendo un ponte musicale esplicito tra le sottoculture musicali nere e queer.

C’è da dire Drake si trova in una posizione poco invidiabile in cui solo una manciata di superstar pop sono state prima: è uno dei musicisti più famosi del pianeta e la sua fama si basa sull’essere una sorta di camaleonte. Ti aspetti che Drake possa sperimentare, ma quello che a molti proprio non va giù è che abbia sperimentato con la house. Ma non è solo questo il problema, perché Drake, così come Kanye West, aveva già sperimentato la house, ma lo aveva fatto in sporadiche occasioni, non di certo con un disco interamente house, dove rappa in solo due tracce. È questo che non piace.

Rappa davvero solo in due canzoni in Honestly, Nevermind: in “Sticky”, che rasenta l’hip-house e in “Jimmy Cooks”, la canzone finale con 21 Savage.

In molti ora si augurano che questa non sia la piega che Drake prenderà musicalmente parlando, io mi auguro il contrario. Honestly, Nevermind è un ottimo disco, fresco e coraggioso, che mette insieme le liriche di Drake e un suono potente e distante dall’hip hop. E a livello sonoro unisce la sua R&B con l’house pura, la deep, la trance e i sintetizzatori anni ’90.

E credo che potrebbe tranquillamente lanciare una nuova wave.

Drake ha deciso di osare, rischiare e uscire da questa visione classica e stereotipata dell’hip hop mischiando due generi che nella cultura hip hop non possono essere mischiati. Honestly, Nevermind è un disco rivoluzionario e audace che potrebbe davvero lanciare un nuovo trend.

Non a caso questo disco è dedicato allo stilista e DJ Virgil Abloh, un visionario e un rivoluzionario nel suo genere, nonché un amante della musica Afro-House, che fa da colonna sonora a “Sticky”, la traccia che Drake gli ha dedicato.

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