Abercrombie arriva su Netflix con il documentario White Hot – L’ascesa e la caduta di Abercrombie&Fitch

“Ti lasciamo nudo come da Abercrombie” dice Marracash in Daytona. Eh sì, perché uno dei simboli di Abercrombie erano proprio loro: i commessi/modelli rigorosamente a torso nudo.

Il brand ha segnato un’epoca. Fino al 2009, anno in cui ha aperto lo store a Milano, Abercrombie era una tappa fissa di molti adolescenti all’estero. E l’esperienza iniziava fuori con lunghe code per entrare. Ad accoglierti c’erano i modelli a torso nudo con i quali potevi farti una foto, le commesse in minigonna di jeans e infradito che ballavano nei piani dello store con la musica a palla, la luce soffusa e il profumo forte e dolciastro: erano questi gli ingredienti di Abercrombie. Ancora di più dei jeans, delle felpe o delle camicie a quadri. Abercrombie era un’esperienza. Anche entrarci era un’esperienza. Le code erano davvero lunghe anche in giornate e in orari non di punta.

Ora Abercrombie arriva su Netflix. Dal 19 aprile infatti sarà disponibile il documentario White Hot – L’ascesa e la caduta di Abercrombie&Fitch.

Il documentario, diretto e prodotto da Alison Klayman, racconta i lati oscuri dietro al successo planetario, in particolare la discriminazione sulla base dell’aspetto fisico e l’esclusione sociale, ma anche il successo e la caduta di un impero e di tutto quello che Abercrombie ha rappresentato in quegli anni.

La catena è stata accusata di scegliere i propri dipendenti in base a un preciso modello estetico, escludendo tutti gli altri. In realtà basta aver messo piede almeno una volta nel negozio per accorgersene: Abercrombie esprimeva il sogno americano e un ideale di “coolness” duro a morire. Tutti dovevano essere giovani, magri, sorridenti, belle e preferibilmente bianchi.

Il marchio, fondato oltre un secolo fa dall’imprenditore David T. Abercrombie insieme all’avvocato Ezra Fitch, oggi esiste ancora, nonostante le pesanti perdite commerciali e i cambi di gestione che lo hanno costretto a chiudere parecchi negozi nel mondo. Il brand però ha dovuto adattare la sua immagine alla nuova sensibilità dei clienti, chiamando modelle disabili e testimonial plus size. Per tutti, comunque, rimane il simbolo di un’era di edonismo sfrenato. E soprattutto di un modello estetico che non segue le regole del body positive e dell’inclusione forzata.

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