Come Kurt Cobain ha influenzato il rap (suo malgrado)

Nel documentario The Defiant Ones, Dr. Dre inizia il suo racconto ascoltando i Nirvana. Cobain attraversa le generazioni, travalica le distinzioni etniche, di ideali e di gusti musicali. Aveva l’attitudine immediata del don’t give a fuck, del frega-un-cazzo, della ribellione, del personaggio che cambia in modo irreversibile le regole del gioco a suo piacimento. Come un rapper. E i rapper di tutto il mondo lo adorano. Forse più per l’estetica, che passa dagli occhiali da donna, allo smalto, alle pellicce, e a tutti quegli accessori gender fluid che vanno di moda oggi, che ti fanno chiedere “ma è gay?”, e per l’essere una star con quel connubio di droga, eccessi, suicidio che fa tanto rockstar. Se prendiamo i testi di alcuni rapper italiani, Kurt Cobain sembra rappresentare proprio questo.

Sfera Ebbasta in Ricchi per sempre dice “Stanza 26, io fatto in hotel come Kurt Cobain“; Gemitaiz in Questa Qua dice che il suo fumo “prenderebbe bene anche Kurt Cobain“; Emis Killa in Click Clack dice che si sparerebbe lui in testa, come il cantante dei Nirvana, per la tristezza che l’assale quando sente i rapper da MySpace.



Kurt Cobain sembra essere quindi un brand, un’icona fatta di droga e suicidio, e di outfit da copiare per essere una rockstar, ma ovviamente è stato molto più di questo.
Era un genio musicale, l’icona di stile degli anni ’90, il primo a cantare in una chiave del tutto innovativa: il grunge, un nuovo modo di intendere il rock, quel genere di musica alternative rock prodotto principalmente nello Stato di Washington degli Stati Uniti d’America, in particolare nella città di Seattle, a partire dalla seconda metà degli anni ottanta.

Un modo di fare musica che ha una finalità di denuncia e l’utilizzo dello strumento musicale come protesta contro l’establishment politico e culturale del momento.

«PUNK SIGNIFICA LIBERTÀ MUSICALE. È DIRE, FARE E SUONARE CIÒ CHE TI PARE. SUL DIZIONARIO WEBSTER, ‘NIRVANA’ SIGNIFICA LIBERTÀ DAL DOLORE, DALLA SOFFERENZA DEL MONDO ESTERNO: È QUANTO DI PIÙ VICINO ALLA MIA DEFINIZIONE DEL PUNK ROCK.»

(K.COBAIN)

Era il poeta maledetto del rock, dalla voce graffiata e dallo stile trasandato, considerato ancora oggi il look nineties per eccellenza, che aveva un unico grande motto COME AS YOU ARE.

E lui davvero andava così com’era. Come in quel servizio fotografico del 1993, uno dei più famosi della sua carriera, quando si presentò fatto e con tre ore di ritardo.
Chiese al fotografo un secchio per vomitare e decise di farsi ritrarre con gli occhiali da sole oversize da donna modello Jackie O. Non era una trovata di stile, anche se diventò iconico, era solo un modo per nascondere gli occhi. Eppure quella immagine è diventata storia. Mito. Glam. Era molto più glam di quanto fosse Kurt Cobain in quel momento, ma rappresentò la netta distanza dall’idea di mascolinità prevalente nel rock da parte di uno che, da ragazzo, scriveva sui muri di Aberdeen Dio è gay e oggi rappresenta l’immagine perfetta dell’essere ribelli e gender fluid che va tanto di moda.

La stessa cosa è stata fatta 20 anni dopo da artisti come Lil Wayne, Sfera Ebbasta, Achille Lauro, Travis Scott e molti altri, e c’è stato addirittura chi, Il critico musicale Jon Caramanica del New York Times, che ha ribattezzato Lil Peep il “Kurt Cobain del rap”. Ovvero “un’anima dolce e dannata, volata via per un’overdose di farmaci, lo stesso mix letale che ha stroncato la vita e la carriera di altri rapper, mancati negli ultimi anni, come Mac Miller e Juice WRLD, altro giovane che ha fatto propria l’eredità musicale dell’artista newyorchese“.



È inevitabile che il mito e lo stile di Kurt Cobain siano arrivati a influenzare intere generazioni e soprattutto il mondo del rap. Al di là del genio musicale, rappresenta quel menefreghismo e quella ribellione tanto cara al rap e dal punto di vista estetico è l’incarnazione della rockstar per eccellenza.

Cosa penserebbe Kurt Cobain di tutto questo? Difficile dirlo, del resto non era un fan del rap, o almeno di quello anni ’80/primi ’90 e a tal proposito in un’intervista del 1991 ha dichiarato:
I bianchi hanno maltrattato i neri abbastanza a lungo. Ma magari ero sbronzo e ubriaco. Sono un fan del rap, ma gran parte di esso è così misogino che non riesco ad averci a che fare. Non ne sono proprio un fan. Lo rispetto totalmente e lo amo perché è una delle poche forme originali di musica che siano state introdotte, ma l’uomo bianco che fa rap è come guardare un uomo bianco ballare: non sappiamo ballare, e non sappiamo rappare. Non abbiamo un’immagine, non c’è molta storia dietro la nostra band, quello che la gente coglie di noi è tutto ciò che la gente può dire“.

MISOGINO, proprio quella misogenia che ha voluto togliere dal punk e che forse oggi sarebbe contento di non vedere più nel rap, forse un po’ meno di essere accostato solo alla star droga/overdose/suicidio.



Lui che nella sua lettera di addio, prima di suicidarsi, scriveva:
Non provo eccitazione nell’ascoltare e nel creare musica o nel leggere e scrivere da troppi anni. Mi sento in colpa oltre ogni dire per queste cose. Per esempio quando siamo nel backstage e le luci si spengono e inizia il ruggito eccitato della folla, non mi fa lo stesso effetto che faceva a Freddie Mercury, che sembrava amare, crogiolarsi nell’amore e nell’adorazione della folla che è qualcosa che io ammiro e invidio. Il fatto è, non riesco a prenderti in giro, nessuno di voi. Semplicemente non è giusto per voi o per me. Il crimine peggiore a cui posso pensare sarebbe fregare le persone fingendo che mi stia divertendo al 100%. Certe volte mi sento come se dovessi timbrare il cartellino prima di salire sul palco. Ho provato con tutte le mie forze ad apprezzarlo (e lo faccio, Dio, credimi, ma non è abbastanza). Apprezzo il fatto che io e noi abbiamo toccato e intrattenuto tante persone. Devo essere uno di quei narcisisti che apprezzano le cose solo quando non ci sono più. Sono troppo sensibile. Ho bisogno di essere leggermente insensibile per recuperare l’entusiasmo che avevo da bambino. Nei nostri ultimi 3 tour, ho apprezzato molto di più tutte le persone che ho conosciuto personalmente, e come fan della nostra musica, ma non riesco a superare la frustrazione, il senso di colpa e l’empatia che ho per chiunque. C’è del buono in ognuno di noi e credo semplicemente di amare troppo le persone, così tanto che mi fa sentire fottutamente triste. Il piccolo triste, sensibile, ingrato, Pesci, uomo Gesù. Perché non ti diverti e basta? Non lo so! Ho una dea di moglie che trasuda ambizione ed empatia e una figlia che mi ricorda troppo com’ero, piena di amore e gioia, che bacia ogni persona che incontra perché tutti sono buoni e nessuno le farà del male. E questo mi terrorizza al punto che vado avanti a stento. Non posso sopportare il pensiero che Frances diventi il miserabile, autodistruttivo rocker che sono diventato io. Mi è andata bene, molto bene, e ne sono grato, ma da quando ho sette anni, sono diventato pieno di odio verso l’umanità in generale. Solo perché sembra così facile per la gente andare d’accordo. Solo perché amo e mi dispiace troppo per le persone probabilmente. Grazie a tutti dal profondo del mio bruciante nauseato stomaco per le vostre lettere e la preoccupazione negli anni passati. Sono un bambino troppo incostante e lunatico! Non ho più passione, perciò ricordate, è meglio bruciare subito che spegnersi lentamente.
Pace, amore, empatia“.

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