Guardare Marriage Story per distrarsi dal Coronavirus

Marriage Story è un film ipnotico. Non è solo il nuovo Kramer contro Kramer, con marito e moglie che divorziano, gli avvocati che li aiutano a farsi a pezzi e un figlio in mezzo. E’ una guerra di mondi tra Los Angeles e New York, di visioni, di abitudini di vita, di lavori, di famiglie. E’ un film sulla miseria degli esseri umani che si mostrano, davvero, fino in fondo, solo con le persone che hanno amato perdutamente fino a un momento X e da quel momento X in avanti, passato l’incantesimo, iniziano a detestare con tutte le loro forze. Le armi che hanno l’uno contro l’altra, a quel punto, sono peggio di una guerra nucleare. In questa battaglia alla distruzione, la parte peggiore è la capacità di retrodatare l’inizio della guerra al giorno in cui entrambi si comportavano come se fosse stato tutto perfetto.

 

Come chi va sempre in gita nello stesso posto per ammirare il panorama. Poi di colpo, alla centesima volta, si accorge che ci sono le formiche, i rovi, il fango, l’odore di letame e decide che, quel luogo, non lo sopporta più. Anzi, l’ha sempre detestato, ora che ci pensa. Le imperfezioni c’erano anche prima, ma lui (lei) non voleva vederle. Lui (lei) voleva il panorama, la fiaba in cui credere.

 

Quando Adam Driver (al quale non si riesce a togliere gli occhi di dosso) e Scarlett Johannson (versione sciatta per caso) litigano, succede proprio questo. Si vomitano addosso tutto il passato. in un crescendo di accuse, in un ribollire di rabbia, con vaso di Pandora senza più il coperchio da cui escono tutti i mali. La guerra viene retrodatata a quando erano una coppia innamoratissima, con lei, attrice di Los Angeles, felice di trasferirsi a New York per lavorare nella compagnia teatrale di lui (che fa il regista).

 

Mentre si devastano, salta fuori tutta la verità vista da entrambe le angolazioni. Lei pensa di essersi sacrificata per la carriera di lui. Lui le rinfaccia che era quello che voleva credere, per poter continuare a lamentarsi di non sapere cosa vuole dalla vita. Si urlano il loro odio addosso fino all’ultima goccia, al limite delle convulsioni e dell’infarto. Finisce con lui che crolla in ginocchio davanti a lei piangendo. E lei, che è alta come lui in ginocchio, lo abbraccia e gli accarezza con tenerzza, i capelli, bellissimi, neri, mossi, protagonisti di tutto il film.

 

Non è la scena finale, ma è il motivo per cui il film diretto da Noah Baumbach è ipnotico e tiene incollato chi lo guarda dall’inizio alla fine. Anche se il taglio di capelli (o la parrucca) di Scarlett Johannson sono disturbanti, quanto il bambino vestito in maniera sgangherata, che non è capace di leggere nonostante abbia un’età in cui dovrebbe farlo e l’assistente sociale che osserva padre e figlio come se fossero delle anomalie del Dna quando in realtà, a Los Angeles, il divorzio è la regola.
Infatti, in tutto questo dramma, gli unici a essere preparati sono gli avvocati da 1000 dollari all’ora, Ray Leotta e Laura Dern, premio Oscar 2020 non si sa se per la capacità di stare strizzata tubini taglia 36 o jeans XXS o per la scena in cui dice che, a partire da San Giuseppe in poi, il ruolo degli uomini nella Storia è talmente marginale che anche se lo sanno tuti che i papà sono imperfetti, a loro viene perdonato tutto. Alle mamme, alle donne, no. Alle donne non viene perdonato niente, quindi inutile confessare dipendenze, tradimenti, incertezze nei metodi educativi. Meglio mentire, anche nell’America dove dire una bugia è peggio che commettere un peccato.

 

Finisce alla pari, anzi no, a “45 e 55” a favore di Scarlett Johannson. “Avrai due giorni in più al mese con tuo figlio“, le dice l’avvocatessa, costata l’ipoteca sulla casa della nonna. “Ma io non li volevo“, replica lei. “Figurati, una clausoletta, l’ho fatta aggiungere alla fine, non sopportavo l’idea che lui avesse il 50 come te“. Non si sa cosa avrebbe detto San Giuseppe guardando questo film. Ma di sicuro, se Adam Driver dovesse divorziare per davvero, avrebbe la coda fuori casa.

 

Anna Savini

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