A cosa serve pubblicare Il Ragazzo D’Oro 10 anni dopo?

Stiamo parlando di un classico. Di un classico dei classici. Del disco di un goldenboy, in pieno riferimento calcistico, che a un certo punto della sua carriera decide di staccarsi dalla squadra e di provare a farcela da solo. Che poi farcela da solo è una figata, ok, ma indica anche una certa solitudine e Guè lo dice “più mi alzo dal suolo, più rimango da solo“.

Assodato che Il Ragazzo D’Oro sia un classico del rap italiano e in quanto classico attuale e intoccabile, ha fatto bene Guè a non toccarlo. A celebrarlo, lasciando intatti i testi e i featuring. Questa uscita lascia di fatto intatto un disco, che andava già benissimo esattamente com’era, che era già futuristico per il periodo storico in cui è uscito e che già, inconsapevolmente o meno, aveva posto le basi per tutto quello che è venuto dopo. Guè, lo stesso Guè Pequeno, che ha detta di molti, insieme ai Dogo, ha contribuito a portare i tamarri nel rap, a sdoganare temi e linguaggi, a parlare di cose effimere come donne e soldi, ha creato un suono e un linguaggio. Quindi, se il suono, dieci anni dopo può essere riadattato, rimodernizzato, e remixato, il linguaggio no. Perché è quel linguaggio che fa di Guè il padre della trap italiana e non solo. Sono tutti figli suoi, da Sfera Ebbasta all’ultimo pischello che si è messo a fare musica ieri pomeriggio.


E se ascolti Il Ragazzo D’Oro oggi, 10 anni dopo, pensi “cazzo, ma queste cose vanno bene anche oggi”, poi ridi ascoltando alcune rime e pensi “oh cazzo, ti immagini che casino se avesse detto oggi queste cose?
Il Ragazzo D’Oro rappresenta anche l’assenza dai Dogo e l’assenza di freni inibitori, zero censure, zero mediazioni, solo pensieri, parole, ironia, critica, verità spiattellate in faccia all’ascoltatore, senza addolcire la pillola, perché non serve e in culo al politically correct che va tanto di moda oggi.

A cosa serve ripubblicare Il Ragazzo D’Oro 10 anni dopo? Beh, intanto a celebrare un classico lasciandolo intatto, perché non avrebbe avuto senso modificarlo nei testi e nei featuring, tanto ci saranno altre rime, altri testi, altri featuring pronti ad essere pubblicati e condivisi con il pubblico, e poi a far avvicinare tanti ragazzini, che, per età anagrafica, non hanno vissuto gli anni della sua pubblicazione e che ascoltandolo capiranno da dove, in parte, arriva questa musica che tanto amano e come sia possibile fare un disco con pochi spicci e poche comodità e vederlo diventare un classico del rap italiano. Perché a volte, e in questo caso Guè è la prova vivente, non servono tanti soldi o grossi producer e studi di registrazione all’avanguardia, serve il talento e il riuscire a conoscere la musica in modo tale da andare oltre i confini dell’epoca in cui si vive.

Di fatto Il Ragazzo D’Oro 10 anni dopo non è altro che un disco celebrativo, né più né meno e se mi chiedi lo compreresti? ti risponderei e perché dovrei? Se voglio ascoltare Il Ragazzo D’Oro, mi ascolto l’originale, se non avessi l’originale, comprerei l’originale, punto.

In sostanza, il repack è un disco che serve e non serve. Un po’ come il documentario fatto da Esse Magazine. Ben fatto, per carità, sullo stile dei documentari che fanno all’estero, molto pulito e basilare, del resto con Cantera, l’etichetta discografica di Esse e Island Records, non poteva che venire fuori un prodotto di qualità. Ma sai cosa manca? Gli aneddoti veri, quelli che chi non ha vissuto quegli anni non conosce, i retroscena del disco, un qualcosa che non sia scontato. E invece come aneddoti abbiamo solo la strofa di Caneda, che tutti pensavano che avrebbe cambiato e invece è rimasta nella storia e ha fatto la storia e Vincenzo Da Via Anfossi che non riusciva a registrare la sua strofa e a scandire le parole. Insomma, tutto lineare, ma nessun colpo di scena.

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