Come Andy Warhol ha portato l’arte nella musica

Cosa ce ne frega di parlare di Andy Warhol nel 2020? Beh, se pensiamo alla musica come forma d’arte, Andy Warhol, nonostante fosse lontano dal rap, ha dato un valore di accessibilità all’arte in generale che nessuno aveva mai dato prima e ha contribuito a creare e dare importanza e valore alle copertine dei dischi.



L’arte per Warhol è per tutti, e non a caso la sua arte è definita pop art. Andy Warhol irrompe come pittore, regista, produttore e fotografo in un’America bigotta e chiusa nei concetti: lui è un rivoluzionario che stravolge i canoni, e fonde diverse arti insieme. Con lui nasce il binomio tra arti visive e musica, e lo Studio Factory diventa il ritrovo fisso d’artisti e musicisti come Jim Morrison, Mick Jagger, Bob Dylan, Lou Reed, David Bowie.
Lo Studio Factory, che si trova al 231 East 47th Street di New York, tra il 1962 e il 1968  diventa il fulcro della sua rivoluzione artistica. Un luogo d’incontro, una casa aperta, per tantissimi artisti di diversa estrazione che formarono il suo seguito aiutandolo nella creazione dei suoi lavori, ma non solo, interpretando anche i suoi film, di dubbio gusto, e partecipando alle feste (spesso vere e proprie orge) che lì si organizzavano.
Lusso, arte, disinibizione, sesso, droga erano questi gli ingredienti dello Studio Factory.

Eccentrico, stravagante e vanitoso, Andy Warhol è uno degli artisti più famosi di tutti i tempi. A contribuire alla nascita del mito certamente troviamo i suoi eccessi e le follie poco note al grande pubblico. Negli anni ’70 è solito partecipare a quattro feste in una sola sera e una volta scherzando ha detto che avrebbe partecipato anche “all’inaugurazione di una tazza da gabinetto”. Un giorno Warhol, mentre si aggira per le stanze dello Studio Factory, sorprende un gruppo nel bel mezzo di un’orgia. Uno di questi, senza avere la più pallida idea di chi fosse Warhol, gli urla: “o partecipi o te ne vai, guardone”. Lui se ne va, anche perché ha un rapporto particolare con il sesso, è convinto che il sesso sia più eccitante su uno schermo o tra le pagine che sotto le lenzuola. Omosessuale e cattolico, Andy Warhol ha dichiarato di essere morto vergine.

Andy Warhol vede l’arte come bene di consumo e accessibile a tutti. Vive in una casa senza mobili, piena di riviste, fotografie, dischi, tecnologie d’avanguardia e 22 gatti tutti con lo stesso nome. Porta una parucca argento per nascondere la calvizie, è un ribelle con la paura che il suo nome, le sue opere, una volta morto non potessero più riecheggiare nei secoli avvenire. L’unico modo per poter essere immortale, per lui, è quello di lasciare un’impronta indelebile e concreta nel mondo.
Andy Warhol non è solo un artista noto per i suoi ritratti di star come Marilyn Monroe, Michael Jackson o Prince, o per i barattoli, ma ha anche affiancato il suo nome ad alcuni musicisti che hanno fatto la storia della musica, sia come produttore che come art-worker, molti dei dischi con le copertine ideate da Warhol, una su tutte la copertina di “Velvet Underground & Nico” dei Velvet Underground di Lou Reed disegnata da Warhol nel 1965, e che raffigura una banana.

Warhol idea, tra le altre cose, le copertine degli album dei Rolling Stones: “Sticky Fingers” nota per l’immagine dei jeans in bianco e nero; e The Rolling Stones “Love You Live”, nata da una serie di polaroid scattate ai membri della band mentre si mordono a vicenda.



All’epoca, essendo necessaria un’immagine d’impatto per incentivare gli acquisti, anche il mercato musicale per vendere più copie, si adegua e Andy Warhol progetta le copertine di diversi dischi. Il motivo è semplice: l’accessibilità dell’arte e il fatto che il consumatore avrebbe acquistato sia l’album che una sua opera con firma originale.

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