Da Gomorra a Montecalvario: l’anima di Livio Cori

“Prima di un concerto non mangio mai, perché premendo sul diaframma rischio di non prendere le note nel modo giusto. – Inizia così la mia chiacchierata con Livio Cori nel camerino dove si rilassava prima del suo concerto al circolo Ohibò di Milano lo scorso 26 settembre – Questo l’ho imparato dai cantanti. Prima, quando facevo rap non ero istruito sul controllo della voce, poi quando ho iniziato a cantare, ho imparato a curare maggiormente parte vocale”.

 

 

 

Quando sei passato dal rap al canto e a una situazione più strutturata anche dal vivo con il supporto di una band?

 

 

“Io tengo molto alla cura dell’aspetto live perché per me è fondamentale. L’evoluzione c’è stata quando ho iniziato ad avere la padronanza della mia voce. Non mi è mai piaciuto fare le cose a caso, se avessi voluto cantare avrei potuto usare anche l’autotune, visto che nell’ambiente urban è molto usato e capito, ma io volevo cantare per tutti. Nel mio disco ci sono pezzi come Core senza paura che è super blues e devi avere un minimo di competenza musicale anche dal punto di vista della voce per realizzarlo”.

In quale genere musicale ti identifichi?

 

 

“Venendo dall’hip hop, la sua evoluzione melodica è sempre stata l’rnb, ma nel mio disco ho preso tutto quello che sapevo fare e l’ho messo e ho sbagliato dal punto di vista discografico, perché avrei dovuto identificarmi in una sola cosa, così come per esempio ha fatto Capo Plaza. Ma non è neanche giusto così, perché John Mayer diceva che nel primo disco devi mettere tutto ciò che riesci a dare e poi piano piano trovi quello che sai fare meglio e che ti piace fare. Per me un disco è un modo per esprimersi e io voglio esprimermi in un modo piuttosto che in un altro in base anche al mood in cui mi trovo. Ho messo anche tutte le influenze che ho avuto in questi anni, anche perché oggi ci sei e domani chissà quindi ho deciso di fare e buttarmi. Per quanto riguarda l’identificarmi, ti direi è un alternative rnb che deriva da tutte le influenze che ho avuto”.

 

 

 

Adesso che stai lavorando al nuovo disco, hai capito che direzione prenderai?

 

 

 

“Sto cercando di sperimentare ancora e di capire cosa devo tenere, cosa devo lasciare e cosa devo potenziare di più. Il riscontro vero l’ho avuto dai live, lì ho capito la potenza di un pezzo piuttosto che di un altro, di una parola, di una frase, di una linea melodica, di uno strumento, molto di più rispetto a un riscontro sui social. Dai live sto imparando molto e sto iniziando a prendere una strada”.

Da cosa è nata la scelta di cantare in napoletano?

 

 

“Io ho sempre scritto in italiano nonostante venissi dalla scuola dei Co’Sang, e rappavo in italiano. Il napoletano l’ho ripreso quando ho cominciato a girare Gomorra e ho voluto creare la colonna sonora. La prima settimana di set mi sono ritrovato di nuovo fisso a Napoli, ho rivisto tutto con altri occhi e ho capito che quella era casa mia. Ho scritto Surdat che prende spunto sia dalla mia esperienza di vita in quei posti, sia la storia della mia banda nella serie.

 

 

 

 

 

 

Dopo Surdat mi sono usciti in automatico 5, 6 brani e ho pensato di fare un ep. Nel frattempo è arrivata Sugar che si è interessata al singolo, ho firmato e avevo già un pezzo che avrei voluto fare con Nino D’Angelo, gliel’ho fatto sentire e mi ha proposto di andare a Sanremo insieme. Da lì l’ep è diventato un album, che è Montecalvario ed è l’abum che parla di casa mia e che si lega alla mia esperienza di ritorno a casa. La scelta del napoletano è stata proprio perché a casa mia si parla così. L’evoluzione di questo credo sia un equilibrio tra l’italiano e il napoletano. Ho capito che devo semplificare il dialetto, riuscire ad essere più sintetico e più chiaro e ritornare a cantare qualcosa in italiano ma con il giusto equilibrio”.

La scelta di andare a Sanremo con Nino D’Angelo pensi che sia stata capita e apprezzata anche da un pubblico giovane?

 

 

“Nino D’Angelo è il re della musica napoletana e per diventare principe devi farti benedire dal re, lo deve dire lui se puoi fare quella cosa, non puoi proclamarti da solo. Io non mi proclamo da solo in niente, avevo bisogno di confrontarmi con un maestro. Noi siamo qua perché determinate persone hanno fatto la storia e ho voluto confrontarmi con il più grande artista napoletano. Nino non collabora con altri artisti e per me è stato un regalo enorme, sentivo l’esigenza di avere la benedizione di un maestro. Magari qualcuno può aver detto “ah sì quello con Nino D’Angelo“, ma a Napoli nessuno mi può dire niente. Passare la fiaccola è molto impoltante. Prima di parlare di musica Nino D’Angelo mi ha invitato a cena e ha voluto parlare con me e conoscermi, poi gli ho fatto sentire il pezzo e ha deciso di collaborare con me”.

 

 

 

Però anche tu hai fatto pochi featuring…

“Io non sono bravo nel marketing. Ogni featuring che ho fatto è un rapporto di amicizia che ho, non riesco a fare una collaborazione senza un rapporto umano, perché la musica è così intima che se devi entrare in un pezzo devi conoscere l’altra persona. E ho sempre scelte le collaborazioni in base a questo, nonostante il mercato discografico ti imponga collaborazioni che servono per i numeri, ma io ragiono ancora con il sentimento musicale. Io anche Sanremo l’ho fatto senza un manager, ho ricevuto molte offerte anche da personaggi grossi, ma poi ho scelto quello che mi ha capito, che ha capito il mio viaggio e di cui mi sono fidato”.

Quindi sei riuscito ad arrivare a Sanremo e a Gomorra da solo, ora a che punto della tua carriera pensi di essere arrivato?

 

 

“Al 10% rispetto a dove voglio arrivare. E non parlo di avere macchine, fama o gioielli, ma di spessore artistico e musicale, proprio a livello di musica. Quello che dico sempre è datemi un mensile, non voglio la casa o la macchina, ma la possibilità di poter fare musica per sempre e di farla come voglio io. In Italia non è semplice, è un utopia, ogni mattina mi sveglio e lotto per fare questa cosa per sempre, ma non è facile”.

L’essere stato associato a Liberato ti ha giovato o danneggiato?

 

 

“Dal punto di vista del marketing, il fatto che il mio nome fosse associato a un qualcosa che stava esplodendo ha fatto sì che il mio nome girasse, ma di questa cosa non me ne frega niente. Quando scrivevo Surdat ho pensato di aver fatto una cosa incredibile, il mese dopo è uscito 9 maggio di Liberato e c’era una radice comune nelle due cose. Io non l’ho visto come un nemico, ma essere stato associato a lui mi ha portato ad avere un’ombra e ho dovuto lottare il triplo per fare quello che sto facendo adesso. Non mi ha aiutato, mi ha solo tolto. Tutto quello che facevo lo faceva Liberato, Sanremo l’ha fatto Liberato, Gomorra pure, e a lui arrivavano anche le mie esperienze, perché quando lui stava fermo era sui giornali per Sanremo, per Gomorra”.

Quindi sei arrivato a fare un concerto lo stesso giorno di quello di Liberato per dimostrare che non eri tu…

 

 

“Io ho sempre cercato di farmi i fatti miei e non marciare su questa cosa ed è stato visto come un allora sei tu Liberato. Io non l’ho mai voluta sfruttare perché è umiliante e dura da digerire, ho deciso di fare un concerto il giorno stesso di un concerto di Liberato a Roma. E anche lì c’è stato chi ha detto che dal vivo non era Liberato. Poi se uno ha un minimo di orecchio capisce che non siamo la stessa persona”.

Ora pensi di esserti liberato?

 

 

“Sì adesso è cambiato molto e questa cosa è scemata, anche se serve ancora per il gossip. A volte le interviste erano così offuscate da questo gossip che non si parlava neanche del mio disco”.

 

 

 

 

 

 

Quello che mi sono trovata davanti è indubbiamente un artista con la A maiuscola, con forte amore verso la musica e l’arte. Una persona che guarda all’arte prima di guardare al portafoglio, alla fama o al marketing e che è mosso più dal cuore che dalla testa o dalle convenienze. Una casa rara da trovare nella vita come nella musica, anzi soprattutto nella musica. Un artista e un ragazzo che ama la sua città e tutti coloro che portano avanti Napoli e contribuiscono a renderla grande. Che ha un estremo rispetto per le radici, per la storia e per il passaggio di testimone. Un artista che credo sia destinato a lasciare il segno.

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