Un disco non è come un cesto di frutta? Dani Faiv racconta Fruit Joint + Gusto
“Nel disco ci sono tanti piccoli concept differenti con uno sviluppo tematico e musicale diverso in ogni traccia. Il progetto è ispirato al concetto di “mondo felice”, volevo chiudere il capitolo aperto con Gameboy Color e dare un’identità a questo periodo della mia vita.”
Così Dani Faiv presenta Fruit Joint + Gusto, il suo nuovo progetto musicale nel quale spazia tra diversi generi musicali evolvendo e crescendo. Il disco è molto vario e completo sia dal punto di vista dello stile, che delle produzioni e dei featuring, è come un passaggio tra il “vecchio” Dani Faiv, il Dani Faiv di Gameboy Color e quello che sarà il suo percorso artistico futuro.
Un disco non è come un cesto di frutta? Gusti diversi, colori e sfumature diverse, così come lo sono le tante caratteristiche dell’essere umano, i suoi pensieri, le sue emozioni, le esperienze e il vissuto. Dall’aspro, al dolce, dal verde al giallo, passando per ogni sfumatura cromatica e gustativa. Ecco, questo è quello che si percepisce ascoltando Fruit Joint + Gusto di Dani Faiv.
Com’è nato Fruit Joint + Gusto?
“Dalla voglia di unire tutto il mio percorso, cambiato radicalmente mese dopo mese, e raccontandolo nella maniera più sincera. L’idea di mettere i frutti con tanti gusti e tanti colori non è nata per dare un’immagine e un messaggio che richiamino solo la felicità e l’aspetto ludico, ma per far capire che ci sono veramente tante sfumature e tanti colori all’interno del disco. Si può trovare dal pezzo reggae, alla canzone malinconica, al pezzo cattivo e cosi via“.
Quando sei uscito con Gameboy Color hai cambiato completamente il tuo immaginario e il tuo modo di fare musica, come hai vissuto le critiche legate a quel mood happy?
“Guarda, quelle ci sono e ci saranno sempre, i fan che ti vogliono com’eri prima è un po’ il tallone d’Achille, perché puoi anche non cambiare, ma la gente te lo dirà sempre che sei cambiato. È dettato anche dalla voglia anche di comunicare direttamente con l’artista, il dire la propria, ma non l’ho presa male. È arrivata un’altra fetta di fan, nello stesso tempo i miei fan vecchi sono cresciuti e maturati con me, c’è chi ha capito e chi no, ma è giusto così perché l’arte è soggettiva e viene apprezzata in modi diversi“.
Nel disco mi sembra di aver percepito che hai messo un po’ del tuo passato, un po’ del percorso alla Gameboy Color e qualche anticipazione di quello che sarà il tuo percorso artistico futuro. È solo una mia interpretazione?
“No no è giustissimo, soprattutto con Facile che è la canzone più malinconica e che porta delle sonorità che mi piacerebbe riprendere nel prossimo disco. Dico mi piacerebbe, poi ovviamente non sarà tutto così, però diciamo che è un mood più maturo dove il messaggio può arrivare in un’altra maniera. Io sono cresciuto ascoltando Caparezza, quindi con il bisogno di andarsi a leggere i testi per cercare di capire quello che mi voleva dire, con una difficoltà incredibile tra l’altro e con il vocabolario in mano. Ovviamente non pretendo questo dal mio fan, però, facendo quello che mi sento, nella canzone Felice ti devi impegnare un po’ di più per capire il significato”.
Quindi secondo te ci sono ascoltatori e addetti ai lavori che non colgono il significato, ma che si fermano solo all’apparenza del capello colorato, o dell’Ananas per esempio?
“Sì, non voglio dare colpe, perché non sono qui a puntare il dito, ma posso capirlo in un certo senso, perché oggi viviamo in un mondo dove prevalgono le immagini ai concetti veri, e dove ci sono personaggi che si autocreano ad hoc, però sì hai detto bene tu, molti non hanno capito”.
Com’è nata la collaborazione con Shade?
“Con Shade c’è una reciproca stima artistica e personale. Io collaboro solo con persone che stimo a livello personale, perché quando c’è armonia le canzoni vengono meglio. Con le collaborazioni a distanza, invece, il rapporto è più freddo e anche la musica, essendo arte, diventa più fredda. Poi non giudico, sono nate traccie fighissime anche a distanza e le ho fatte anch’io, però se devo scegliere, preferisco collaborare in questo modo. Infatti la traccia con Shade è una delle mie preferite, è fresca, pulita, lui fa il suo e lo fa benissimo ed è divertente, come un aneddoto che si racconta, noi raccontiamo quello che abbiamo vissuto”.
Qual è la rima a cui sei più legato?
“La più d’impatto che mi piace è ABBIAMO I BAFFI MA NON SIAMO MESSICANI, VOI NON ENTRATE NON SONO AMMESSI I CANI che è un gioco di parole che secondo me ti lascia il sorriso. Mentre il verso più significativo per me è quello che dico nel bridge di Facile NON HO MAI DETTO FOSSE FACILE PRENDERE IL MONDO, PERÒ SE SEI QUI e lascio l’ascoltatore libero di capire e interpretare. La canzone è dedicata alla mia ragazza e spiego con una frase non completa quello che poi l’ascoltatore andrà a completare con la persona che per lui è maggiormente speciale”.
Com’è stato aprire il concerto di Salmo in un contesto come quello del Forum?
“Un’emozione unica, un qualcosa di incredibile che rappresenta il sogno un po’ di tutti gli artisti e credo di averlo soddisfatto al massimo. Lui è un esempio da seguire, un artista polivalente a 360 gradi, fortissimo e veramente in gamba”.
Ascoltando il disco, soprattutto per quanto riguarda la parte featuring, ho notato che riesci a confrontarti con artisti diversi, con flow diversi, senza far sì che la tua strofa si perda. Molte volte, invece, ci sono collaborazioni dove l’ospite è più forte dell’ospitante o viceversa, ma nel tuo caso non ho notato questo gap, come fai?
“Io ti ringrazio, ma non c’è una regola. Diciamo che la sana competizione, quando collabori con un collega, ti porta a voler spaccare tutto, quindi nei featuring entrambi vanno per spaccare, anche se poi va sempre a gusto personale, però grazie”.
Ti faccio un paio di domande da parte dei lettori di Rebel. Qual è il tuo segreto per essere sempre preso bene?
“Ora sto un po’ cambiando quel mood, ma diciamo che la presa bene è in tutti noi, se uno vuole può affrontare la vita in un certo modo, oppure può decidere di affrontarla in un altro. Non c’è una regola, però sicuramente la speranza aiuta nel riuscire a crederci e a darsi sempre obiettivi nuovi”.
Come hai conosciuto Tha Supreme e com’è nata Gameboy Color?
“Stavo cercando una base diversa da tutto quello che esisteva e Tha Supreme che io avevo già ascoltato era l’unico che potesse darmela. L’ho contattato, lui sapeva già chi ero ed è nata per stima reciproca dal punto di vista lavorativo, poi abbiamo iniziato a conoscerci e da lì abbiamo creato La La La La La, Gameboy Advance e Yung”.
Quanti stili hai ancora intenzione di cambiare?
“Finché morirò li cambierò sempre, mai rimanere fermo su una cosa”.