Scusa se Marracash dà al rap un po’ di Peso

Il 20 gennaio 2015 usciva Status, il quarto disco di Marracash

“Qualcuno dice 3 anni sono un ritardo…” e in effetti Status a un certo punto sembrava essere un disco fantasma, uno di quelli che forse non sarebbero mai usciti, di cui se ne parlava tanto, ma finché non è stato pubblicato nessuno aveva la certezza che sarebbe uscito davvero. E già lì il pubblico era impazzito e diviso, tra chi definiva Status il disco rap del 2015 e chi iniziava a storcere il naso “ma come il feat con Tiziano Ferro? E ha pure campionato i Subsonica? Si è venduto anche lui”.

3 anni sono un ritardo anche per il king del rap, che avrebbe potuto tranquillamente essere sorpassato da mode nuove, ma che invece ha saputo alzare l’asticella ancora una volta portando un disco peso, uno di quelli che se lo ascolti 9 anni dopo la sua uscita resta fottutamente attuale per argomenti, suoni, flow. Un classico istantaneo.

Marra chiede scusa.

Scusa, se il suo rap è peso, e se dà al rap un po’ di peso, ma sa benissimo che, anche se quei tre anni sono un ritardo, resta il numero uno in Italia e lo dice chiaramente “sono un leader non sono un boss”.

Quello che Marra vuole essere con Status è, non solo restare il King del rap, ma essere un rapper peso, uno di quelli che alzano l’asticella, che quando dicono qualcosa tutti stanno zitti ad ascoltarlo e con Status ha dimostrato di esserlo.

Nelle 18 tracce di Status Marracash ci dà davvero un disco peso, ma non pesante. Peso e denso per rime, strofe, racconti, beat, incastri, citazioni, figure, giochi di parole come “lotterò, l’otterrò e lo terrò per me”, o come quando dice “e dire che sono autocelebrazione è come guardare un natura morta e dire che è soltanto frutta” che è una figura pazzesca. E già dall’intro del disco, da Bruce Willis è chiaro che questo disco ha un peso enorme, che quello che andrai ad ascoltare non sono solo 18 canzoni, ma 18 racconti, ricchi, emozionanti, a volte spacconi, altre intimi, reali come una fotografia della società in cui viviamo come Sushi e Cocaina e Sindrome depressiva da Social Network. C’è la Barona, c’è sempre la Barona, le sue strade, i palazzi, i suoi abitanti, i ricordi legati al periodo in cui era ragazzino in Il Nostro Tempo. C’è la Vita da Star, c’è l’autocelebrazione in A volte esagero e in Bentornato, tutti dicevano bentornato Marra, ma lui dice bentornato successo, ma anche in Don, dove Marra consacra un giovane Achille Lauro, che al tempo faceva parte della sua etichetta, Roccia Music. Ci sono i pensieri più bui, quelli più intimi e le riflessioni (Sogni non tuoi, Senza un posto nel mondo). C’è la critica, l’arroganza, il voler cambiare le cose (Vendetta, Catatonica). E le parole che dice in Vendetta “la mia vendetta è che i tuoi figli ascoltano i miei testi e sognano di diventare quello che detesti, la mia missione è di educarli a essere ribelli” sono una dichiarazione d’intenti potentissima che ti arriva dritta allo stomaco. E c’è ancora quel ritardo, con Marra che si fa inseguire dalla manager per mettersi a scrivere, ma preferisce vivere, divertirsi, godersi la fama e le donne. Però poi quando prende la penna in mano non si ferma più, scrive e alla fine dimostra di essere una fuoriserie, uno che traccia una linea e alza asticella e parametri.

E se Marracash non è un rapper facilissimo da ascoltare e tantomeno da capire al primo ascolto per quegli incastri metrici di altissimo livello che mette con una facilità incomprensibile, Status resta un discone. Non voglio dire eresie, perché anche gli ultimi due album (Persona e Noi, loro, gli altri) lo sono, ma Status è un disco veramente corposo, forse il più corposo. E sicuramente ha segnato il Marra che è venuto dopo, sia a livello di suoni, perché da Status ha iniziato un lavoro sonoro di alto livello che poi si è concretizzato e ha trovato l’apice in Persona e Noi, loro, gli altri, sia a livello di testi. E se devo dire la traccia conclusiva del disco, Untitled, è poesia pura.

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