Rappare non è obbligatorio come il militare
Rappare non è obbligatorio come il militare
Dice Fabri Fibra in ‘Red Carpet’. Questa cosa oggi è più vera che mai, oggi i rapper sono i nuovi miti, i nuovi calciatori, i nuovi tronisti, sembra davvero che diventare un rapper famoso sia il nuovo sogno dei ragazzi italiani. Se da un lato tutto questo ha creato l’ennesimo falso mito del “fare i soldi facilmente” e ha dato la convinzione che tutti possano fare rap scatenando anche l’invidia degli haters, cioè di chi non ce l’ha fatta nei confronti di chi al contrario ce la sta facendo, dall’altro ha dato l’opportunità a giovanissimi dotati di straordinario talento di poter vivere trasformando la propria passione in professione.
Affermazione, questa, che gli appassionati del genere, quelli che si definiscono “old school”, quelli che restano legati ad artisti come Esa, Sangue Misto, Neffa e tanti altri che hanno il grande merito di aver contribuito all’espansione di questo genere musicale in Italia e di essere la storia del rap italiano, odieranno profondamente.
Io resto legata a quegli artisti, a quel periodo storico, resto legata e non potrò mai negare il loro contributo, insieme a quello di Fabri Fibra, Marracash, Club Dogo e Mondo Marcio, per essere riusciti a sdoganare il rap in Italia, resto legata alle origini, alla storia, ma vivo oggi nel 2018 e non posso non guardare e apprezzare il nuovo, non posso non ascoltare Sfera Ebbasta, Vegas Jones, Lazza, Quentin40, Highsnob e gli altri e non posso non attribuire loro una parte del merito di aver portato il rap a un pubblico sempre più vasto.
L’argomento, per dirla alla Fibra “scotta come merce da piazzare“, se è vero che questa smania del rap è letteralmente sfuggita di mano a qualcuno, creando di fatto dei mostri mai sentiti e che forse sarebbe meglio non sentire, è altrettanto vero che chi dice che il rap è morto si sbaglia enormemente, il rap oggi, nel 2018, non è mai stato cosi vivo. Finalmente il rap è esattamente dove avrebbe sempre dovuto essere: nelle strade e nelle scuole. Ed è così che le nuove generazioni, i nati tra la fine degli anni ’90 e i 2000, ascoltano il rap e vogliono fare rap, spesso con la falsa convinzione che il rap sia nato qui in Italia. Oggi esiste un pubblico molto giovane che si ritrova una scena musicale fatta e finita e non si chiede molto da dove provenga, quali siano le origini, chi siano i pionieri, qualcuno arriva addirittura a pensare che questo genere musicale sia nato qui. Per loro, i loro artisti sono qui e ora, in un momento di grande vivacità del panorama musicale, ignorandone completamente non solo le origini, ma anche quello che succede a livello internazionale.
Questo, a mio avviso, è un’enorme mancanza di cultura, ma il problema non sono tanto i ragazzini, non sono loro che dovrebbero farsi una cultura e ascoltare chi ha fatto la storia di questo genere musicale in Italia e nel mondo, il problema sono i mezzi di comunicazione che mancano di informazione adeguata su questo argomento, vuoi perché oggi non esiste un magazine che autorevolmente parla di rap, vuoi perché viviamo nell’era dei social e tutto scorre in modo talmente veloce che quasi manca il tempo di fermarsi e guardare indietro.
Del resto viviamo ora, oggi, il 2018 è il nostro tempo, il nostro presente e quello che è successo e sta succedendo oggi al rap italiano è un’esplosione atomica e non si può non dare il merito, non solo a chi c’era prima, ma anche a chi c’è oggi. Non esiste l’uno senza l’altro.
Oggi tutti fanno rap, oggi tutti parlano di rap, oggi tutti scrivono di rap, oggi tutti disegnano il rap.
Questa è l’esplosione. L’esplosione della massa, di chi non sa rappare e si mette a fare il critico commentando la qualunque, haterando a caso senza arte nè parte. Di chi, vista la popolarità di Sto Magazine, lo copia da ogni punto di vista, tanto il web è un grande contenitore e c’è spazio per tutti. Di chi, non sapendo rappare, si improvvisa grafico. Nel rap siamo tutti dei maledetti tuttologi. Tutti dei fottuti wannabe. Tutti esperti, tutti critici, tanto se scrivi che X ha fatto un buon pezzo, arriva il coglione di turno a dire il contrario, tanto per poter dire la sua nel magico mondo del rap. Perchè se X è bravo, chi commenta, suo cugino o il suo compagno di banco sono ancora meglio. Perchè tutti diciamo la nostra senza arte nè parte. Non conoscono la storia, ragazzini nati nel 2000 che si professano esperti di rap, che scrivono lunghissimi messaggi per dire che Capo Plaza o Tedua a scuola lo ascoltano tutti. E quindi? E’ importante solo quello che ascoltate a scuola? Io alle medie ascoltavo i Take That, che fine hanno fatto oggi?
La scena si è già autodistrutta una volta, ora è satura. Tra chi c’è, chi arranca per esserci, chi ci prova siamo al limite. Non c’è spazio per tutti. Tutti possono provarci, tutti provano a mangiare una fetta della grande torta del rap, ma arriveremo di nuovo al punto in cui ci sarà una selezione naturale. La moda della trap prima o poi finirà, si ritornerà al rap tradizionale, è ciclica, come la moda stessa. Siamo al ritorno della moda anni ’90, al rifiorire di brand spariti da molto tempo e succederà anche nella musica. E’ sempre stato così e capiterà ancora e ancora. Allora cadranno molte teste. Il problema oggi non è emergere. Con i social emergono tutti. Il problema è rimanere. Ecco, rimarranno in pochi. Il problema oggi non è creare una pagina Instagram uguale a Sto Magazine, o l’ennesima pagina di meme, o l’ennesimo web giornalino. Il problema è saper essere originali. Conoscere, sapere, essere convinti di quello che si fa, si scrive e si dice, non farlo tanto per dire “anche io faccio parte del rap game”, perchè se sei una copia della copia, in qualunque ambito tu sia, sei e resterai solo un wannabe. Uno sfigato che ci prova. Uno che lo fa per moda.
Nel mio piccolo ricevo quotidianamente decine di link di brani di ragazzi che vogliono fare rap e penso non sono una critica musicale, non sono un’ettichetta discografica, non sono una talent scouter, perchè mi mandate tutti questi link? Cosa cercate? Ho 1300 followers cagati, non sono nessuno! Nei messaggi che accompagnano i link leggo “faccio rap in modo diverso dagli altri”, metto play e nel 90% dei casi è la copia della copia della copia venuta male di Sfera. Mi scrivono papiri, in genere sono i soliti tre critici esperti di rap che con lunghissime frasi si professano esperti del rap. Benissimo, apritevi un blog! Mi scrivono numerosi aspiranti artisti che fanno le cover dei singoli dicendomi che non so curare l’aspetto grafico di REBEL: avete ragione, non sono una grafica, sono una mezza sega in social network, sono nata nell’epoca in cui queste cose non servivano a niente, ma ci provo lo stesso, faccio tutto da sola e no, non vi faccio lavorare gratis per REBEL, perchè lavorare gratis è un contro senso, andate a lavorare gratis per chi sfrutta il lavoro degli altri!