Ragazzi Madre – L’Iliade di Achille Lauro è la storia di come la musica possa salvarti la vita
“Non avere un posto nel mondo e non essere nulla mi ha spaventato più della violenza stessa” dice Achille Lauro nel docufilm Ragazzi Madre – L’Iliade disponibile su Prime Video, ed è stato forse questo il motore di tutto. Quella paura che deriva da un contesto difficile, da smarrimento, solitudine, scelte obbligate, facili per certi versi, ma sicuramente deleterie per altri. La volontà diventa quindi il motore di tutto. Il capire di essere di fronte a un bivio e scegliere. Achille Lauro ha scelto la musica. E la musica lo ha salvato. E forse lo ha salvato ancora prima che diventasse musica, quando la sua esigenza di scrivere i suoi pensieri e le sue emozioni, quelle che non poteva raccontare agli amici in piazza, al fratello che lo stava crescendo e che cresceva con lui e alle persone perse, a quei pregiudicati cinquantenni che gli stavano facendo da padre. Quelle pagine che ha scritto per 10 anni e che ha tenuto per sè lo hanno salvato e lo hanno portato verso la sua salvezza, la musica.
E la musica ha assunto diversi ruoli nel percorso di Achille Lauro, è passata dall’essere l’esigenza di tirare fuori quello che aveva dentro, al fare musica per il gusto di farla, senza pensare al dopo, al successo, come quando rinchiuso in una villa a San Felice Circeo con un gruppo di amici musicisti ha scritto Rolls Royce, che poi tempo dopo ha presentato al Festival di Sanremo e che gli ha cambiato la vita. Ancora una volta. E infine, la musica che a un certo punto ti consente di esprimere appieno la tua visione, la tua arte, il tuo immaginario e di farlo con il supporto di professionisti del calibro di Alessandro Michele.
Quel ragazzino cresciuto in periferia in una comune, con una vita molto probabilmente già segnata, ha stravolto tutto e diventa il sopravvissuto di una “vita al limite del burrone”. Diventa esattamente quello che voleva diventare, perché, lo si capisce bene dal docufilm, Achille Lauro è uno che lavora sodo, che ha le idee chiare, che lavora in modo maniacale a tutto ciò che lo riguarda, che segue la sua strada e che non lascia nulla al caso. Si è creato il suo successo e anche i suoi fallimenti. “La mia carriera è stata un continuo autosabotaggio. Sono passato da un genere all’altro nonostante non ne avessi bisogno”.
Negli ultimi anni ho pensato che Achille Lauro, dal Festival di Sanremo in poi, avesse voluto rinnegare il suo passato, staccarsi completamente da esso, evitare di parlarne in pubblico, come se fosse nato con Rolls Royce, come se tutto quello che avesse fatto prima non fosse mai accaduto. Guardando Ragazzi Madre – L’Iliade ho capito invece, che non è mai cambiato, che Lauro De Marinis e Achille Lauro sono la stessa cosa, che il suo approccio alla musica e il suo amore per la musica sono rimasti invariati, a cambiare invece è stata la sua vita, il contesto, quello che vive, ma in tutta la sua discografia c’è sempre lo stesso filo conduttore che lega tutto. Dai suoi primi brani agli ultimi, nonostante cambi genere continuamente, si riconosce sempre il suo imprinting. Lui che non era un trapper neanche quando faceva trap, che non era un rapper neanche quando faceva rap, che forse è stato urban prima che si usasse la parola urban per descrivere tutto e niente, è sempre rimasto Achille Lauro. Brani come La Bella e la Bestia o Lost For Life li ritrovi in Penelope, o in 16 Marzo. Barabba II lo ritrovi in Me ne frego, perché lui sperimenta, si spinge sempre oltre, ma la radice è la medesima. È cambiato solo il contorno e ovviamente i mezzi. Ma resta sempre quel ragazzo innamorato della musica, che si ricorda l’inizio, che voleva avere tutto, ma non per farlo vedere, e che non dimentica le persone che hanno fatto tutto questo viaggio insieme a lui e che tiene ancora accanto e soprattutto gli ultimi, quelli che come lui dieci anni fa, stanno cercando il loro posto nel mondo e si sentono dire “non sei nessuno”.
Questo docufilm non racconta solo la vita e la carriera artistica di Achille Lauro, ma è assolutamente attuale in un momento storico in cui il rap e i suoi protagonisti vengono attaccati costantemente e associati a droga e violenza, di essere un cattivo esempio per i giovani, ragazzi come Achille Lauro diventano l’esempio lampante di come la musica possa salvarti e cambiarti la vita. Di come, anche per gli ultimi, per i tanti nessuno, ci possa essere un’opportunità. Di come una passione possa salvarti.
Il cerchio iniziato con la fuga da casa di quel ragazzino cresciuto nella periferia romana e arrivato Palazzo delle Nazioni Unite di New York come rappresentante della Musica Italiana si chiude e lo fa con una citazione di L’odio di Mathieu Kassovitz “Fino a qui tutto bene”, che poi a noi amanti del rap ricorda anche quel fino a qui tutto bene di Marracash.
“Se non resteranno i nomi resterà una storia” e la storia è questa.