Philip Plane, doppia P come Piazza Prealpi
Sul fatto che Philip Plane sia l’unico rapper di Piazza Prealpi, come lui stesso si definisce, non ci piove, a parte la pioggia battente che bagnava la piazza quando l’ho raggiunto insieme ai suoi amici. La cosa che mi ha colpita fin da subito di lui e dei suoi amici è l’aspetto di collettività, di gruppo, di commando per dirla con le sue parole. Philip Plane non si muove mai da solo, né sul lavoro, né nelle occasioni pubbliche, né sui palchi, accanto a lui ci sono sempre i suoi amici, quelli di sempre, gli stessi con cui rubava i cinquantini e che oggi lo aiutano a trasformare la passione per il rap in professione.
23 anni, nato e cresciuto in Piazza Prealpi, una vita di studi e lavori lasciati a metà perché fin da bambino aveva dentro si sé il sogno di fare rap. E’ un ragazzo semplice, umile, a tratti schivo, con le idee chiare, la voglia di fare e di spaccare, ma che non ostenta, né nelle canzoni, né sui social, né dal vivo: lui è esattamente quello che vediamo e quello che ci racconta nei suoi testi. L’ho raggiunto nella sua Piazza Prealpi in un piovoso pomeriggio, non ero mai stata da quelle parti, è una piazza come tante a Milano, ma ascoltando i suoi racconti, vedendo lui e i suoi amici salutare tutte le persone che incontriamo, sembra quasi di essere fuori da Milano, più che un quartiere sembra di essere in un piccolo paese racchiuso in una piazza.
E’ vero che crescere in un quartiere non centrale può portare a condurre una vita diversa rispetto a ragazzi cresciuti in altre zone?
“Sicuramente, poi dipende sempre dalla persona in questione, io prendo le cose buone, nel senso l’educazione, il rispetto, i valori, non la maleducazione o l’essere spaccone”.
Un tuo collega mi aveva detto che sono stati gli amici a insegnargli questi valori, è stato così anche per te?
“E’ stato così per amici più grandi, prendere dai senior del quartiere”.
Quando hai iniziato ad ascoltare rap?
“Da piccolissimo, alle elementari, ascoltavo Eminem, 50 Cent, però io sono sempre stato un amante di tutta la musica e lo sono ancora. Magari non conosco i nomi degli artisti emergenti americani, ma conosco cantanti neomelodici, italiano, spagnoli, di tutto, non mi fisso solo sul rap”.
Quando hai detto voglio farlo anche io?
“Da sempre, quando ero piccolo lo prendevo come un gioco fino a quando ho deciso di farlo seriamente. Quando ho scritto la prima canzone avevo 12 anni, 13 quando ho registrato la prima. Il titolo era ‘Fai il bravo’ ed era già sulla stessa lunghezza d’onda di quello che è il mio ideale, ovvero il rispetto e non fare il bullo. Ero piccolo, quindi le cose erano più ristrette, ora le cose sono le stesse, ma so come si sta dall’altra parte, nel senso, quando io avevo 14 anni vedevo i big ed erano così lontani, mentre adesso so cosa può volere un ragazzino di quell’età”.
Quanto è stato importante avere il supporto di Emi Lo Zio a livello personale e professionale?
“Molto, è una cosa che mi ha dato la consapevolezza di dire che i giochi sono finiti e che stanno incominciando le cose serie”.
Quale canzone consiglieresti di ascoltare a chi ancora non ti conosce?
“Per ora ne sono uscite tre, di cui le più famose sono due, sto lavorando a un disco, ma s devo dirne una direi ‘Criminale’”.
Quanto conta per te costruirti un certo tipo di credibilità all’interno della scena?
“E’ fondamentale, io sto cercando di portare la mia musica per quello che sono realmente, quindi creare un personaggio fondato su me stesso, non su quello che vorrei essere o potrei essere. Anche a livello di stile, io sono così come mi vedi, non ostento qualcosa che non ho, se un domani facessi i milioni farei vedere come li ho fatti, ma ora ho questo e sono così”.
Da dove arriva il nome Philip Plane?
“E’ nato perché la prima canzone del mio nuovo percorso si intitolava ‘Philip Plane’, due P come Piazza Prealpi e ho deciso di chiamarmi così, dove Plane sta per aeroplano, che vola dal basso verso l’alto”.
Con la tua musica vuoi anche riscattare il quartiere?
“Sì, abbiamo anche un’idea astratta di costituire un collettivo un giorno. Quando parlo di commando nelle mie canzoni mi riferisco proprio alla mia gente, ai miei amici. Anche durante i piccoli live che sto facendo, siamo tutti insieme sul palco, ci sono sempre i miei amici a sostenermi e questo è il messaggio che voglio far passare: quando arrivo io, arriva il quartiere. Ho scelto la parola commando perché gang non mi si addice ed è troppo usato, è stato anche un modo per distinguermi da tutti quelli che usano la parola gang”.
Come sta crescendo la tua fan base?
“Bene, anche se sono uscite solo tre canzoni, vedo un progresso e questo mi sta dando la spinta giusta per andare avanti. Anche se non ho nessuna data ancora, posso dire che stiamo lavorando a un progetto più ampio, ci sarà un singolo nuovo che annuncerà appunto l’uscita di questo progetto. Uscirà anche un merchandising che sarà suddiviso in tre loghi, ovvero Philip Plane, Zona 8 Commando e PP (Piazza Prealpi)”.
Hai in programma anche dei live?
“Ho fatto l’ultimo ai Magazzini Generali che è andato bene, nonostante fosse sold out la serata, devo dire che ero tranquillo sul palco. La situazione era carica, tanta gente era lì anche per me, non ho avuto ansia, ho più ansia quando ci sono poche persone, perché non posso fare abbastanza casino e non mi trovo a mio agio. Ora mi fermo un po’ con le serate fin quando non esce il mio progetto e poi lo porterò un po’ in giro”.
A casa come hanno preso la tua scelta di fare rap?
“Quando hanno visto i video e le visualizzazioni hanno capito, ma fino a poco fa mi dicevano vai a lavorare, ora mi appoggiano finalmente. Non ho mai dato soddisfazioni su lavori regolari ai miei genitori, non duravo molto al lavoro, io volevo fare questo e adesso spero di dargli una soddisfazione con la musica”.
amleta
Io preferisco i rapper di strada, di piazza e di ogni ghetto ai rapper di “copertina”. ?