“Per diventare chi vuoi, devi uccidere la persona che volevano farti diventare”

A giudicare dal film che hanno appena fatto su di lui, Elton John prende in parola il musicista al quale ha appena chiesto come fare a diventare famoso anche lui. Per prima cosa inizia a nascondere quello che è (un bambino borghese succube di due genitori anaffettivi) sotto costumi di scena sempre più vistosi e dietro occhiali da palco sempre più grandi. E poi inizia a uccidere se stesso, con la droga e con l’alcol. Rocketmam finisce bene perché Elton John, dopo aver rischiato la vita, va in un rehab e ne esce ripulito, ma la sua storia è quella di tutti i ragazzini qualsiasi che hanno un talento di cui all’inizio pochi si accorgono, ma che poi esplode. Il momento in cui un ragazzino di belle speranze diventa una rockstar che fa volare il pubblico è quello che fa la differenza. E qui entra in gioco la famiglia. Se la famiglia di partenza era solida e equilibrata l’artista riesce a emergere senza ammazzare letteralmente il ragazzino che era. Altrimenti vanno a fondo entrambi. E nessun talento può durare in eterno se viene affogato negli eccessi. E’ la rapidità con cui l’artista riesce a uscirne che fa la differenza. Per questo non bisogna pensare che le canzoni dei rapper siano un inno alla droga, sono solo delle fotografie di realtà che ora sono lontane da loro. Sono i tentativi di ammazzare il ragazzino per diventare la star che sognavano di essere. Come ha scritto Achille Lauro nel suo libro. Sono io Amleto, “essere diversi ci ha salvato la vita. Gli angeli sono ancora sulle panchine”. Tradotto: nel rap c’è più disciplina di quanto non si creda. Perché alla fine l’artista capisce che il consiglio di partenza non è uccidersi, ma stare meglio come dice Elton John quando si presenta al gruppo di auto aiuto. Come tanti altri capiscono, per fortuna, prima di arrivarci. La vera ribellione è quella, imitarli sul loro punto forte, non sui loro lati deboli.

 

– Anna Savini

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