Madreperla di Guè – la recensione di Rebel

Sì, Guè ha pisciato in culo a tutti

Quando Guè ha annunciato l’uscita di Madreperla ho letto alcuni commenti, che più o meno dicevano così “ha 40 anni perché non la smette?”, “ma ha ancora qualcosa da dire?

Oltre che da dire, ha ancora tanto da farci sentire. In Madreperla troviamo Guè all’ennesima potenza, come se per la prima volta avesse fatto esattamente il disco che voleva fare e per farlo è riuscito persino a distogliere Bassi dalle sue nuove attività e farlo tornare a produrre rap. E se metti Bassi Maestro con Guè il risultato non può che essere uno solo: RAP.

Questo è un disco RAP, scritto tutto così maiuscolo, perché un disco così solo Guè e Bassi potevano farlo. E da veterani e massimi esponenti del genere quali sono, hanno preso i suoni tipici degli anni ‘90/primi 2000 e li hanno portati nel 2023. Un omaggio esplicito a quel periodo, ma anche un modo per dire “il rap si fa così, da sempre e per sempre”. Bassi è un maestro, di nome e di fatto, un vero e proprio campione nel scegliere e usare i sample e in Madreperla ce ne sono parecchi. Da Ron, a Here comes the hotstepper, fino a Stay With Me Till Dawn di Judie Tzuke e ai Tiromancino. E Guè è un esperto di musica, non è il classico rapper che si mette lì e rappa le sue barre, ma conosce la musica, gli piace sperimentare e fare propri i suoni che sente, ha sentito e che ha nel cuore. E il risultato sono le 12 tracce che compongono Madreperla.

Non solo, in questo viaggio sonoro Guè riesce a portare tutti gli ospiti nel suo mondo e nel suo suono. E così, per esempio, sentiamo Anna e Sfera Ebbasta uscire dalle loro zone di comfort e confrontarsi con un beat dai forti richiami 2000 e che ci riporta al mood di Candy Shop di 50 Cent. Ma anche Rkomi che per l’occasione è tornato ai tempi pre switch pop/rock e lo stesso Benny The Butcher, una leggenda del rap, ma che non sembra essersi limitato a mandare una strofa, ma anche lui è entrato a tutti gli effetti nel mood di Guè.

Madreperla è un instant classic, ma anche un disco in grado di creare nuove tendenze.

Dentro troviamo le liriche tipiche di Guè e il suo dualismo. La parte sfacciata, tamarra, street, la sua sofisticata ignoranza, le citazioni che poi vai cercare su Google, modi di dire che ti spiazzano e che poi entrano nel linguaggio comune e quella più intima, perché come abbiamo imparato negli anni ascoltando Guè, è in grado di farti esaltare con le sue barre e la sua disarmante crudezza ed ironia, ma è anche in grado di toccarti l’anima con brani come Lontano Dai Guai e Chiudi Gli Occhi.

Anche questa volta Guè ha fatto il cazzo che gli pare, ha sperimentato e giocato con la musica e con le rime e, nonostante i numeri parlino e i suoi siano logorroici, ha portato un album assolutamente non scontato, non facile da far assimilare ai più giovani, ma in grado di catturare tutti e di restare nel tempo, diventando un metro di paragone e un’ispirazione per gli altri. Il tutto facendolo solo a modo suo.

Quindi sì, Guè ha pisciato in culo a tutti.

A chi pensava che non avesse più altro da dire o da dimostrare, a chi crede che oggi nel rap non ci siano novità da portare e a chi crede che per essere un rapper basti avere un buon seguito su Instagram o far fare i balletti ai TikToker.

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