Intervista ai Cor Veleno

È uscito il 15 marzo Fuoco Sacro, l’ultimo disco dei Cor Veleno.

13 tracce che celebrano i cinquanta anni dell’Hip Hop così come la sua evoluzione in Italia. Un viaggio dagli anni ’90 ad oggi, tra boomdap 2.0 e sperimentazioni jazz e hardcore, con tocchi di drill e cumbia colombiana, e riferimenti alla tradizione cantautorale. L’Hip Hop ha compiuto cinquant’anni ma non li dimostra. È un genere che è riuscito a rinnovare la sua
contemporaneità grazie alla capacità di sintetizzare come pochi altri l’urgenza espressiva delle generazioni che abitano
ogni angolo del globo e raccontare le storie della Strada, le illusioni infrante ma anche la forza di chi la abita.

È un album ricco di featuring: da leggende come Inoki, Colle der Fomento e Fabri Fibra, ad alcuni dei nuovi protagonisti Nayt, Franco 126, Willie Peyote e Mostro, talenti emergenti come Ele A, Ugo Crepa e Klaus Noir fino alle gaitas di Marlon Peroza.

La produzione di Squarta e Gabbo esce da qualsiasi concetto di comfort-zone, superando le convenzioni della musica
contemporanea e alimentando quel Fuoco Sacro che brilla sin dall’esordio dei Cor Veleno e continua ad essere energia
cosmica e terrena insieme.
Ogni traccia una storia, ogni brano è alternanza di ombre e luci che l’ascoltatore potrà filtrare attraverso le proprie emozioni.

In occasione dell’uscita del disco, ho avuto modo di fare due chiacchiere con i Cor Veleno.

Com’è nata l’idea di fare un disco per rendere omaggio ai 50 anni dell’hip hop? Secondo voi perché nessun altro in Italia lo ha fatto? 

L’idea è nata quando eravamo in studio e in fase di stesura ci siamo resi conto che non era stato fatto in Italia, in America sono usciti diversi progetti di artisti emergenti, gente che fa parte della scena storica e in Italia, stranamente, niente. L’hip hop c’ha dato tutto quello che ad oggi abbiamo: abbiamo immaginato di fare musica, e ci siamo riusciti, abbiamo immaginato di conoscere gente con cui creare un mondo alternativo e ci siamo riusciti. 

Anche in questo disco Primo è presente, qual è eredità che vi ha lasciato?

Primo non è con noi, ma fa parte dell’immaginario. C’è una dedica per lui nell’album che reincarna perfettamente l’idea del Fuoco Sacro dell’album.

Il titolo del disco Fuoco Sacro si lega in certo senso al disco precedente, cos’è per voi il fuoco sacro? Si può dire che sia proprio l’hip hop? 

Il fuoco sacro è dentro di ognuno di noi, auguriamo a tutti di trovarlo. Il fuoco sacro è una passione, un’idea, una quadratura. Tutte cose che ti salvano. Per noi è stata la musica, che fortunatamente ci ha rapiti quando eravamo ragazzini e siamo cresciuti facendo questo. Ci ha dato tanto: lavoro, amici, una seconda famiglia, il guadagno, il poter viaggiare, conoscere gente. Come fai a non essere grato a una cosa del genere? Per noi il fuoco sacro è indubbiamente la musica. E non è semplice coltivare per tutti il proprio fuoco sacro.

Come avete visto cambiare il rap in questi anni? 

Quando eravamo ragazzi era più complesso trovare gli spazi per questa musica, era una roba nuova, anche negli addetti ai lavori, gli amici ai liceo ti guardavano strano. Era una novità ed è giusto che non tutti accettino una novità fin dall’inizio. Poi è arrivato il momento in cui questa novità è stata scardinata. Chi inizia oggi se non ci arriva ben strutturato, viene un po’ macinato da questo mondo. Prima l’hip hop veniva fatto ascoltare poco, mentre ora che le persone hanno ampliato le proprie scelte, l’hip hop arriva prima. Internet ha dato la possibilità a tutti di scegliere tutto. La valenza dell’hip hop è proprio nell’autenticità nel raccontare lo spaccato della società. Il problema è che esiste una forma di controllo che cerca di ignorare lo spaccato. L’hip hop è figo perché ti porta sempre ad avere un confronto fuori dalla tua comfort zone.

Nel disco criticate un po’ alcuni vostri colleghi, penso alla traccia Outsider, cosa pensate della scena attuale? 

Non critichiamo nessun collega. Il giorno in cui vorremo criticare un collega faremo nome e cognome. Ci rivolgiamo a una figura ipotetica, a una somma di tante cose che non ci piacciono e che abbiamo descritto.

Voi vi sentite outsiders o sentite il grande contributo che avete dato al rap italiano? 

Sì ed è fighissimo esserlo, ti permette di vedere la vita con lenti diversi. 

All’interno del disco, dal punto di vista dei featuring ci sono nomi storici e volti nuovi, com’è nata la scelta degli ospiti? 

Abbiamo scelto di mettere dentro diverse generazioni. Chi ha iniziato con noi e al contempo anche i pischelli che riteniamo siano il futuro della scena. È un cerchio che si chiude. L’album si apre con Nayt, che secondo noi ha il nostro spirito, e si chiude con i Colle proprio ad evidenziare che il fuoco sacro che ce lo abbiamo tutti in questo album. Sia nel primo feat che nell’ultimo ci sono le persone che hanno iniziato con David, e chi è stato ispirato da loro.

Se doveste descrivere Fuoco Sacro con una rima quale scegliereste?

Viene dalla traccia omonima dell’album e dice: Dritti sulle gambe quando cadono le braccia, Io che de persona ho messo Roma sulla mappa, Scienza doppia H, faccio i conti coi tuoi K, Questo è fuoco sacro mentre gli altri fanno acqua.

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