I segreti del rap game: le interviste pt. 2
Era febbraio 2018, uno dei primissimi articoli di Rebel Mag era I segreti del rap game: le interviste, dove spiegavo come vengono organizzate e gestite. È passato un po’ di tempo, da quel giorno e da quell’articolo, ma niente è cambiato sul fronte interviste. Abbiamo sempre di fianco l’addetto stampa di turno, non possiamo chiedere tutto ciò che ci passa per la mente, ecco perché spesso le domande che mi fate attraverso le Instagram stories non posso riportarle, e ovviamente se sbagliamo veniamo ammoniti. Mi è successo di recente, nel senso che non sono state gradite alcune domande che ho fatto a Mambolosco durante la nostra chiacchierata tenutasi in occasione dell’uscita di Arte, il suo ultimo disco, ma non è di questo che voglio parlare, visto che credo molto nella libertà di stampa. Voglio parlare delle interviste a pagamento. Ci tengo a specificare che non ricevo soldi per nessuna intervista, né tantomeno pago gli artisti o i loro uffici stampa o management per intervistarli. Non l’ho mai fatto e mai lo farò. Ma non siamo tutti uguali ovviamente. E se Basement Cafè di Esse Magazine e Lavazza, avendo uno sponsor paga gli artisti per partecipare al format, alcune pagine pagano gli artisti di tasca propria per intervistarli. È assurda sta cosa. Soprattutto se pensiamo che chi scrive ha tra i propri compiti quello di essere chiamato a fare interviste. Nello specifico chi scrive di musica è in contatto con tutti gli uffici stampa e i management dei vari artisti, che ti mandano comunicati stampa, ti invitano alle conferenze stampa, agli eventi e con i quali vengono organizzate le interviste che ovviamente non prevedono l’uscita di denaro da nessuna delle due parti. Fai parte dello stesso gioco semplicemente con ruoli diversi. Ovviamente sta al management di ogni artista decidere come, quando e da chi far intervistare i propri pupilli, può scegliere infatti tra i vari siti di settore e non. Alcuni escludono a priori i siti di settore e puntano alla stampa generalista, altri ne scelgono alcuni, sono scelte, ma siamo tutti nel gioco, tutti possiamo chiedere e rifiutare a vicenda.
Se non sei nel gioco, puoi chiedere di intervistare un artista e pagarlo per l’intervista. Ovviamente sta all’artista, in accordo con il suo management e ufficio stampa accettare o meno. In quel caso va da sé che la condivisione sui profili social dell’artista dell’intervista fatta e per la quale ha ricevuto un compenso sia meticolosa, puntuale, ridondante e dettagliata. Di fatto il magazine o la pagina Instagram ha pagato e in cambio ha ricevuto pubblicità. Negli altri casi, invece, soprattutto se si tratta di interviste fatte per promuovere un disco, è già tanto se riceviamo un grazie, figuriamoci una condivisione. Se paghi puoi anche prendere spunto dal format di un altro, che sia Noisey o l’intervista fatta da Bellasto Magazine a G.bit (come ho visto fare recentemente a una pagina Instagram) che nessuno a quanto pare dice niente e in più hai almeno 10 storie su Instagram dell’artista in questione che rimandano alla tua intervista.
Quindi se vedete un artista pubblicare un numero esagerato di storie relative a un’intervista, sappiate che molto probabilmente ha ricevuto soldi per farsi intervistare e ricambiare la promo.
Niente di male. Sono modi diversi di approcciarsi all’informazione e al giornalismo che coesistono ed esistono nello stesso settore.