Guè dice sempre le stesse cose. Ma lo sa fare bene.
La dichiarazione d’intenti di GVESVS, il settimo album di Guè è chiara e perfettamente riassunta nella prima traccia, La G La U La E:
Chi è il primo italiano coi Rollie veri
Ad avere un conto a sei zeri? (G-U-È)
Chi ha ispirato generazioni e i rapper di ‘sti quartieri? (G-U-È)
La street più ben disegnata, la bitch più desiderata (G-U-È)
Il cinema di strada, la meglio droga cantata (G-U-È)
Con GVESVS Guè ci dice chiaramente come si fa questa cosa del rap. In giro c’è troppa mediocrità, troppi rapper improvvisati, troppi artisti che sono figli suoi, per non dire che provano a scimiottare uno stile che non avranno mai. E Guè, alla soglia dei 41 anni, con una solida carriera alle spalle e la consapevolezza di poter dire e fare ciò che vuole e restare comunque credibile ci dice “se vuoi fare rap, si fa così”.
E sempre nella prima traccia ci riassume anche gli argomenti che andremo a sentire in GVESVS: la street più ben disegnata, la bitch più desiderata, il cinema di strada, la meglio droga cantata. Che poi praticamente sono sempre gli stessi argomenti che troviamo in tutta la sua discografia.
A volte, ascoltando un artista, che sia tra le nuove leve o tra i veterani, capita di dire “eh ma dice sempre le stesse cose, sempre i soliti argomenti triti e ritriti” e potremmo dire esattamente la stessa cosa anche di Guè. L’unica differenza è che Guè, pur trattando sempre gli stessi argomenti, cambia il modo in cui li tratta, gioca con i racconti, con il flow, con le parole e soprattutto con la musica.
È stato il primo a fare tante cose, come scrive nel libro Guerriero “tra le cose che ho fatto in anticipo: mettermi dei denti d’oro, portare la piazza sul palco, indossare e creare bling bling personalizzati, usare l’autotune, vestire Stone Island, Supreme, Kappa, Champion, Gucci, Vuitton, Fendi, citare tutti i marchi nelle rime, swaggare, avere un’etichetta indipendente, creare un brand di streetwear, andare nei gossip con delle fighe famose, sdoganare e istituzionalizzare lo show del rapper nei club commerciali, indossare Rolex veri, mettere questo lifestyle nelle rime, citare cibo e alcol costosi, e la lista continua”. È stato il primo, ok, ma una certa si potrebbe anche dire “sì ok, però ora hai stufato con questi soliti tre argomenti”. Ma non è così. La verità è che Guè non stanca. Neanche questa volta, nonostante gli argomenti siano i soliti e nonostante la sostanza finale sia sempre quella, perché il suo immaginario, fatto di cinema di strada, donne, autocelebrazione, sofisticata ignoranza, tammarraggine, droga e lifestyle è sempre raccontato in modo unico, con un concentrato di immagini, punchlines, frasi ad effetto, giochi di parole e citazioni in questo disco viene portato ai massimi livelli. È come se Guè avesse preso tutto il suo percorso artistico e lo avesse portato all’ennesima potenza in GVESVS. Perché alla fine, giunto al settimo album, Guè non ha più nulla da dimostrare, non deve più guadagnarsi nulla. Sa bene che se, insieme a pochi altri, è riuscito a resistere ai vari cambiamenti delle mode e ad essere sempre in vetta un motivo ci sarà, e quindi può finalmente fare musica perché gli piace e come gli piace. Non solo Guè è anche uno dei pochi artisti in grado di piacere a persone molto diverse tra loro. Piace ai fan del rap di una volta, a quelli che lo ascoltano dai Dogo, ai 40 enni come lui, ai ragazzini, ma anche a chi il rap non lo mastica benissimo. Guè piace nonostante alla fine dica sempre le stesse cose.
E a differenza di tanti suoi colleghi che hanno voluto fermarsi durante la pandemia, Guè ha continuato a sfornare musica. 2 dischi e un mixtape. Cosa assolutamente non scontata, che dimostra la sua reale passione per la musica. È uno dei pochi che non sa stare fermo, che scrive e pubblica perché è come se non riuscisse a farne a meno. E il beneficio in questo caso è stato tutto nostro.
E in GVESVS ci mette dentro un po’ di nuovo e un po’ di vecchio. C’è l’hip hop più classico in La G La U La E, Gangster Of Love con Rick Ross, Futura ex con Ernia e Lunedì blu con Salmo. C’è il pop con Piango sulla Lambo con Rose Villain, la traccia più skippabile del disco per quel ritornello di Rose Villain a dir poco osceno e Nessuno con Coez, c’è Elisa che si avvicina all’opera in Senza Sogni. C’è la parte conscious in Fredda, triste, pericolosa con Franco 126.
C’è Marracash, il sempre presente Marra che in Daytona ci regala una delle tracce più tamarre del disco. E poi ci sono Nicholas Cage e Too Old To Die Young, le due tracce migliori del disco.
Anche in GVESVS da una parte abbiamo l’ego smisurato e dall’altra l’io, la parte più intima e fragile di Guè. E soprattutto abbiamo produzioni spettacolari. Shablo, Night Skinny, 2nd Roof, dj Shocca, Marz e Zef, l’americano Marco Polo e Sixpm hanno creato un sound pazzesco, che spazia dall’hip hop old school, all’r&b, al cantautorato alla Califfano, fino al valzer.