Emis Killa e la radio
Ho portato il mio disco alle radio, l’hanno ascoltato di rado
In Italia se spacchi fai schifo, se fai schifo spacchi e riempi uno stadio
Ci credo che sono frustrato se non trovo spazio per colpa di ‘sto settantenne del cazzo she ascolta i miei pezzi e nemmeno comprende il linguaggio
In Donald Trump Emis Killa ci va giù pesante con le radio e il sistema radiofonico italiano, perché? Lui non è mai stato in radio? Non ci risulta, anzi, negli anni è stato ospite in diverse radio, ha anche condotto One Two One Two su Radio Deejay, senza andare troppo indietro nel tempo Rollercoaster l’abbiamo sentita ovunque, quindi cosa intende dire?
A domanda, durante la conferenza stampa, Emis Killa risposto: “Rollercoaster ha avuto un successo clamoroso, è vero, ma non era voluto, non sono andato a cercare la hit radiofonica, hanno iniziato a passarla non dico tardi, ma solo quando era già diventata una piccola hit, consacrata dal volere del popolo per i numeri che aveva in streaming. Se fai il rapper sei costretto a fare un pezzo che funzioni per passare in radio, se fai un altro genere non è necessariamente così. Godi di una credibilità che ti è stata data per una hit che magari hai fatto anni prima. Parlo di Ligabue, nel pezzo, ma prendi anche solo una cantante pop come Emma Marrone, lei non ha bisogno di fare la hit dell’anno per passare in radio, esce col disco e il suo singolo la radio lo suona automaticamente. Poi, ovvio che se il pezzo non funziona lo passano meno, ma intanto lo mettono perché Emma Marrone è radiofonica, per usare il termine che piace tanto a loro.
Ogni volta che faccio un disco devo bussare alla loro porta e vendergli una mia canzone e questa roba mi fa incazzare. Perché ci sono numeri incredibili fuori dal vostro network che non vengono considerati e passa in radio gente che non si incula nessuno e non vende dischi e non fa concerti, perché nessuno li va a vedere? Non capisco questo meccanismo, Spotify è un po’ più democratico del volere della radio, la gente ascolta più o meno quello che vuole, tolte le playlist, ma se guardi quelle classifiche sono rap al 90%. Facciamo finta che ho ragione a metà io ma tu, radio, sei disposta ad ammettere lo stesso? Non possiamo venirci incontro, fare un mix delle due cose? Così non perdi il tuo pubblico e la gente non parla male della tua radio? I giovani non ascoltano la radio, ma non perché hanno il telefonino, se la radio passasse dei pezzi fighi me la ascolterei anche e invece non lo faccio mai perché c’è quasi sempre una canzone che non mi piace, uno speaker egocentrico e palloso che parla due ore tra un pezzo e l’altro di cose di cui non me ne frega un cazzo e soprattutto, se c’è un ospite rapper, viene sempre trattato come se fosse uno con dei problemi, un alieno, uno che intimorisce”.
Qual è l’ultimo muro che deve scavalcare il rap per essere passato in radio?
“Il muro devono scavalcarlo quelli che ci lavorano in radio, non noi, noi più di così cosa dobbiamo fare? Il rap è un genere che si distingue per quello che è, se devo andare incontro a dei canoni radiofonici devo snaturare quello che è il rap. Cosa deve fare il rap? Ti dico, a sto punto niente, quando condanno questo sistema radiofonico in realtà non lo sto schifando, perché io ho un grande rispetto delle radio, penso siano un meccanismo fantastico, che funziona, che fa la differenza tutt’oggi, al contrario di quanto dicono. Quando un mio pezzo passa in radio, i numeri si vedono, ho un’influenza sul pubblico, allo stesso tempo, però, penso ci sia un’incongruenza tra quello che è il gusto del popolo e quello della radio. Credo che ci stiamo avvicinando a un punto d’incontro e che anche loro stiano iniziando a capire che anche il nostro non è un genere futile o superfluo, ma un genere comunicativo, empatico, che rispecchia i gusti della gente e credo che inizieranno a trattarci da artisti quali siamo e non più da outsiders“.
Sempre in Donald Trump, Emis Killa dice
Ogni testo qua viene frainteso, c’è sempre qualcuno che si sente offeso, sempre teso, sempre in attesa dietro a ‘sto scemo che si pensa Iglesias
Se i talent talenti non ne hanno mai presi, sento cantanti che non hanno presa
Nessuno si rinnova davvero
In tele sempre i soliti artisti, tipo c’è ‘sto qui che ha vinto Sanremo, ma poi vende la metà dei miei dischi, la metà di quelli che ora fanno i giornalisti un tempo hanno provato a fare i musicisti
E come dargli torto? Anche se sembra paradossale detto da Emis Killa che in tv ci va e anche spesso. La realtà, però, è che l’Italia il rap non lo vuole, non lo vuole così com’è, vuole la favoletta addolcita alla Famiglia Cristiana, vuole un qualcosa che il rap non è. Basti pensare alle polemiche scaturite dal doppio Rolex indossato da Sfera Ebbasta al concerto del primo maggio, prima lo invitano e poi lo criticano, perché lo volevano a misura loro e non è per quello che è realmente. Parlando, invece, dei giornalisti, Emis Killa ha detto una grande verità: più della metà delle persone che scrivono o parlano di rap sono dei rapper mancati, con tanto di dente avvelenato spesso e volentieri. Lo stesso Antonio Dikele Distefano è un rapper mancato. È giusto questo? O è un sistema marcio dall’interno?
Tornando alle radio, se guardiamo la classifica airplay italiana dell’ultima settimana, per trovare un po’ di rap dobbiamo andare in undicesima posizione con Bling Bling (Oro) di Gué Pequeno, guarda caso un pezzo che ha come riferimento Oro di Mango. È giusto? No, ma questa è l’Italia.
Ma se guardiamo la classifica FIMI, invece, il rap ha una bellissima fetta, chi fa radio di fatto manipola i gusti del pubblico, manipola quello che la gente è solita ascoltare a casa propria per un dovere, che non è un dovere, di veicolare una cultura sana che possa essere ascoltata dalla famosa Famiglia Cristiana.