Cos’ho imparato al concerto di Pusha T

Daytona è sicuramente uno dei dischi migliori usciti quest’anno, con il quale King Push, ha acceso ancora una volta i riflettori sulle trincee del rap game statunitense. Un titolo per celebrare uno dei suoi Rolex preferiti, una copertina raffigurante il bagno di Whitney Houston durante uno dei suoi periodi più burrascosi che ha alimentato polemiche e rumours: il disco è un inno alla luxury of time, definito dal rapper originario del Bronx con rime graffianti che riprendono i capisaldi del suo immaginario fatto di ricchezza, eccessi e successo. 

Sebbene il Fabrique di Milano non fosse sold out, complice anche il giorno infrasettimanale, Pusha T ci ha regalato un live di altissimo livello, breve e intenso. Breve perché è durato meno di un’ora, intenso perché lui sul palco è un mostro. Una scenografia scarna, un dj, e lui, molti gli esponenti della scena rap italiana presenti e spero che alcuni di loro abbiano preso appunti dalla performance del rapper statunitense.

20181014_130908

Tuttavia ho imparato che i “vecchi” del rap, come Noyz, Ensi, Nitro, hanno assistito al concerto in mezzo al pubblico, mentre i “giovani”, come Drefgold, Lazza, Izi, dalla sala vip situata in alto, eccezion fatta per Marracash, forse l’unica vera star nostrana presente che per forza di cose è rimasto nel privè. Credo che i privilegi piacciano a tutti, me compresa, che ho apprezzato il fatto di poter scattare due foto dall’area vip, ma credo anche che mischiarsi al pubblico non sia un disonore e ho apprezzato molto vedere Noyz in mezzo alla gente “comune”. Credo che i veri vip siano quelli che non si atteggiano a tali.

Ho imparato che un concerto di martedì costa meno a chi lo organizza rispetto a uno che cade nel weekend e che i rapper internazionali sono fiscali, allo scadere del tempo escono dal palco, non c’è “se non metti l’ultima non ce andiamo” che tenga, formuletta che pare funzionare solo in Italia.

Lascia un commento