Cos’hanno in comune Back in Black dei Cypress Hill e Caos di Fabri Fibra?
Il 18 marzo sono usciti sia Back in Black dei Cypress Hill, sia Caos di Fabri Fibra. Entrambi al loro decimo album in studio. Entrambi veterani del genere seppur appartenendo a due mondi lontani, ma con in comune due parole: hip hop. Sono queste due parole, che poi racchiudono un mondo e una cultura il filo che lega Back in Black e Caos. Perché è come se sia i Cypress Hill, che Fibra abbiano voluto spogliare il rap da tutto quel glam che lo circonda, dai contenuti frivoli, dal lusso sfrenato, dai soldi, dai gioielli, dall’elenco di brand e dalle macchine costose e lasciare solo l’essenza.
Come a dire “l’hip hop esiste ancora, è qui, e noi continuiamo a viverlo”, perché sai, qualcuno una volta ha detto rap is something you do, hip hop is something you live. Ma è come se negli anni quella cosa di vivere l’hip hop si sia persa e sia diventata solo una moda fatta di slang, parole a volte dette a caso e suoni con testi privi di significato. Eppure sia i Cypress Hill che Fabri Fibra sono qui a dirci, anzi a dimostrarci, con le loro rime, che quell’hip hop esiste ancora e che loro ancora lo sentono e lo vivono.
E se ne fregano di ciò che va di moda oggi, non importa se i ragazzini vogliono sentir parlare di pistole, Prada e bitches, perché il rap deve e può ancora dire qualcosa, andare oltre la pura estetica.
Ed ecco i Cypress Hill, che con Back in Black ci riportano alle origini, con suoni classici, ma non vecchi, e con un disco viscerale colmo di letteratura di strada, dove è la sostanza l’elemento predominante. Sostanza non solo intesa come marijuana, argomento fisso della loro discografia, ma anche come contenuto. Qui non si parla di stile, ma c’è una forte componente di critica sociale e politica. E c’è anche un omaggio a uno dei più grandi artisti di tutti i tempi, Tupac, con il ritornello di Come With Me che rende omaggio a Hail Mary.
C’è il passato e c’è il presente, perché Back in Black non è un album vecchio, è solo un album fatto alla vecchia maniera con qualcosa da dire e soprattutto le capacità per dirlo.
E la sostanza che troviamo in Back in Black è la stessa che c’è in Caos di Fabri Fibra. Un disco denso, pieno, colmo di significato, di rime e di contraddizioni. Un disco alla Fibra, insomma, dove classico e contemporaneo si mischiano, senza però perdere di vista il contenuto, il rap, la cultura hip hop e le sue radici.
Fibra è una delle penne più lucide ed esplicite della musica italiana in generale, non solo del rap. È un artista che parla con la stessa libertà di politica (Propaganda), depressione (Noia), marijuana (Fumo erba), mantenendo sempre una lucidità che spiazza. Uno che è in grado di campionare Gino Paoli, Miles Davis e Charles Bukowski senza apparire mai fuori luogo e fuori fuoco.
Uno che ama il rap, che vive ancora quella cultura hip hop, che è consapevole che la sua roba non sia per tutti, ma che non vuole togliere il contenuto dal rap e renderlo glam solo perché così funziona di più. Solo perché è quello che fanno i ragazzini e che piace ai ragazzini. A Fibra non interessa e si evince in ogni rima di Caos, del resto ha portato il rap in major diventando il primo rapper mainstream degli anni 2000 senza sapere cosa sarebbe successo dopo.
È un po’ questa la tendenza dei grandi del rap italiano. Penso a Noi, loro, gli altri di Marracash e a Guesus di Guè. Collaborano con le nuove generazioni, spesso ne cavalcano anche i trend, ma a modo loro e i loro dischi, così come Caos, sono una chiara dichiarazione d’intenti: il vero rap si fa così. Non ci sono cazzi. Il rap non è solo gang, pistole, bitch, Gucci, flex, sksksk, può essere anche quello, ma il rap è contenuto, sostanza, conoscenza, appartenenza a una cultura che esiste ancora, anche se a volte ce ne dimentichiamo, ma per fortuna c’è ancora chi ce lo ricorda.