Cliché da sfatare sul rap: età anagrafica e dissing
Ci sono alcuni cliché da sfatare nel mondo del rap. Innanzitutto la presunzione di essere fieri che l’età anagrafica del proprio pubblico debba essere necessariamente superiore ai 18 anni.
L’età è solo un numero e il numero di persone che ti ascolta non conta (se non solo per mero business), ma dipende chi ti ascolta.
“Il peso delle parole dipende da chi le dice”, questa affermazione può benissimo essere interpretare con “non importa quanti anni tu abbia ma cosa tu abbia appreso dal testo e quanto dai peso ad esso”.
E il dissing.
Un rapper che fa un dissing lo fa solo per hype? La mia risposta è più che ovvia, sì. Soprattutto oggi e soprattutto se il dissing è fatto da un artista meno famoso nei confronti di uno più famoso.
Nonostante l’egotrip e la competizione siano componenti fondamentali e imprescindibili del rap e nonostante alcuni beef siano diventati parte integrante della storia dell’hip hop, oggi sembra essere diventata una pratica usata per creare hype. Basti pensare ai troppi dissing che nascono e muoiono sui social senza sfociare mai in un brano vero e proprio. Di fatto si ottiene una massima resa, ovvero la gente inizia a parlarne, con una minima spesa: non ho neanche dovuto scrivere due rime, ho preso il telefono e ti ho dissato.
Quindi il dissing è solo una mossa per farsi notare? Spesso e volentieri sì. Se penso a uno dei casi più recenti, mi viene in mente Nayt che dissò Highsnob in modo pacifico, ma che scatenò un dissing a catena nel quale si inserì pure Skioffi, in una sorta di spasmodica ricerca di notorietà.
– Federico