Ciao Primo

È impossibile non pensare a Primo, almeno oggi, 1 gennaio.

Era la notte tra il 31 dicembre 2015 e il 1 gennaio 2016 quando Primo Brown ci ha lasciati, a soli 39 anni.

Un addio che è arrivato come una bomba, nonostante fosse stato preceduto da un arrivederci, che Primo aveva voluto condividere con il suo pubblico sulla pagina Facebook. Era giugno del 2014 quando Primo ha comunicato a tutti che avrebbe dovuto assentarsi per un po’.

Ciao regà, vi scrivo qui così smettete con le domande da Cesaroni che solo sapete porre. E scrivo per chi mi conosce, perché del fatto che siete fans fotte cazz. Devo affrontare un viaggio difficile che non so dove porta, e come ritorna indietro, devo solo farlo. Questo bloccherà le mie attività di base per non so quanto, non mi vedrete fare live, e non so darvi altri appuntamenti. Posso solo dirvi che nessuno vi impedirà di ascoltare El Micro de Oro, o qualunque cosa vi piaccia, e di seguire i miei Fratelli di sempre nel massimo della loro espressione creativa. Stessa cosa per l’unica forma femminile di persona che ho imparato ad amare quando pensavo di non esserne più in grado. Anche lei suona le sue corde della Musica, anche della mia, rispettatelo, grazie. Ci vediamo presto“.

Purtroppo molti non l’hanno più rivisto. Ma Primo in un certo senso non ha mai smesso di vivere. Se ne è andato, ma prima di andarsene ci ha lasciato il suo ultimo disco, El Micro De Oro, con Tormento.

Sono passati solo sei anni, o già sei anni, dalla morte di Primo, un rapper che ha fatto la storia del rap in Italia. In grado di ispirare generazioni intere, Primo aveva una penna unica, uno stile diretto e incisivo, un’attitudine estremamente real.

Per vent’anni di fila, con diversi dischi all’attivo, una marea di live, tanti videoclip, i festival, le citazioni, il sostegno dei fan, dei colleghi e la critica a favore, Primo ha scritto la storia.

Vent’anni di musica scritta, suonata, cantata e condivisa, fino a che la malattia non lo ha fermato e non lo ha costretto a combattere la battaglia più difficile, un testa a testa, che purtroppo non ha vinto.

La sua scomparsa ha lasciato tutti atterriti. Non solo i suoi amici, la sua famiglia è il popolo dell’hip hop, ma chiunque si sia mai imbattuto, anche per caso in una delle sue canzoni e non è un caso se ancora oggi Primo viene citato dai colleghi.

La sua eredità è tosta. In parte è stata onorata e portata avanti, mentre in parte è stata letteralmente buttata via.

Primo era molto diverso dalla maggior parte dei rapper di oggi.

Aveva una personalità forte, ma non si dava arie da divo. Rude e gentile. Come la sua voce. Come il carattere che aveva deciso di mostrare.

A volte brusco, senza mediazioni, insofferente al politically correct. E altre dolce e sensibile, sulle note, con le parole e con la sua voce.

E in volto alternava il broncio al sorriso.

Per lui l’hip hop era una “linea di trasformazione del male in bene”, un modo per elaborare i pesi della vita, le delusioni, il cinismo e per salvarsi da tutto stando da solo davanti al microfono.

Primo ha lasciato un’eredità e un vuoto talmente grandi che forse è più vivo e più amato ora di quanto non lo fosse in vita. Non a caso la scena italiana, capitanata ovviamente dai Cor Veleno, nella primavera del 2017 ha voluto omaggiarlo con un concerto tributo che ancora oggi, guardando il video su YouTube, fa venire i brividi per l’intensità con cui Primo è stato davvero amato dai suoi colleghi.

Ma come diceva lui, se abbiamo voglia di sentirlo, basta mettere in play la sua musica.

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