C’era una volta Milano

Ieri ero al telefono con Froz, membro della storica crew di breakdance Bandidts e abbiamo ricordato i tempi del muretto di Milano, laddove tutto ebbe inizio.

C’era una volta il Muretto. Era uno spazio a metà di Corso Vittorio Emanuele, in fondo c’era la storica scala del Burghy prima e del Mc Donald dopo. Oggi non esiste più, quello spazio è stato acquistato da Gap e la scala del Mc è quella che all’interno del negozio americano porta al piano superiore. A metà degli anni ’90 Milano si divideva in due: da una parte c’erano i sancarlini, i ragazzi della Milano bene, che frequentavano scuole private e vestivano solo firmato, dall’altra gli zarri. Si usciva da scuola e dove oggi c’è H&M c’era lo storico Fiorucci, un luogo incantato dove passavamo i pomeriggi, oltre alle iconiche t-shirts vendute all’ingresso che all’epoca costavano 30 o 40 mila lire, sotto c’era un mondo, diversi marchi, oggettistica di tutti i tipi, maghe che leggevano le carte. Superato Fiorucci, andando in direzione del Duomo, l’altra tappa era il Body Shop, negozio londinese che vendeva profumi, make up, saponi, bagno schiuma e si usciva sempre da lì scavallando qualcosa, le tasche dei nostri piumini Aspesi erano sempre piene. Prima di arrivare alle Messaggerie musicali, dove trovavamo cd e cd singoli e dopo ascoltavamo tantissima nuova musica, passavamo davanti al Muretto. Lì c’erano dei ragazzi strani, noi li ritenevamo tali, perchè diversi, non erano sancarlini come noi, ma neanche zarri, li avevamo soprannominati gli alternativi. Erano in cerchio, c’era musica hip hop che suonava da uno stereo, uno o due di loro al centro che ballavano, altri che improvvisavano rime. Io mi fermavo a guardarli ammirata e affascinata, non sapevo che lì in mezzo ci sarebbero stati quelli che poi sono diventati Marracash, Guè Pequeno, Dargen e via dicendo. Non sapevo che i ragazzi che ballavano sarebbero diventati i Bandits. Erano solo ragazzi della mia stessa età che facevano qualcosa che mi affascinava, ma che all’epoca, essendo Milano divisa per strati sociali, dovevo guardare dall’alto in basso perchè non erano vestiti firmati come noi, non frequentavano i nostri locali, nè tanto meno le nostre scuole private. I rapper sono quei ragazzini che mi fermavo a guardare al muretto da ragazzina, sono quei tamarri che negli anni ’90 schifavo.

Guè Pequeno, nel libro ‘Guerriero storie di sofisticata ignoranza’ ha parlato più volte di quegli anni e leggendo le sue parole mi sono accorta di come le strada scorressero in modo parallelo, abbiamo visto le stesse cose, ma da due punti di vista diversi, abbiamo avuto la stessa formazione, siamo entrambi cresciuti nella Milano degli zarri e dei sancarlini.

“Il Muretto è stato un posto fondamentale per me, come per tutta la generazione di personaggi milanesi. Quando ho iniziato ad andarci, a metà anni ’90, c’era una commistione incredibile: veniva qualche sancarlino affascinato dal contesto, c’erano i b-boy, i writer e poi ovviamente c’erano i tamarri, che all’epoca erano proprio tamarri. E’ lì che ho avuto l’apice della mia formazione. Quando uscivo da scuola prima di tutto si passava al parco Sempione, che in quegli anni era un luogo neppure paragonabile a quello che è diventato adesso. C’era libertà totale, era una zona franca dove potevamo fare di tutto, e per noi era la dimensione ideale in quel passaggio tra le medie e le superiori in cui io e i miei amici abbiamo fatto la magica scoperta dell’hashish e della marijuana. , nonchè della possibilità di spacciare. Qualcuno di noi smazzava un po’ in giro, mentre intorno c’erano i writer, i marocchini, gli eritrei che occupavano il campetto da basket. Poi si andava al Muretto e birre, bianchini, e in loop per il resto della settimana”.

 

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