Angelo Calculli, ex manager di Achille Lauro, racconta in un libro i retroscena del suo rapporto con l’artista

Angelo Calculli, manager di Achille Lauro dal 2018 al 2022, pubblica il suo libro “Da 100 a 10. Un viaggio nella musica in Rolls-Royce”, nel quale racconta la sua esperienza e il suo ruolo come manager di Achille Lauro.

Angelo Calculli è stato il fautore del successo mainstream di Achille Lauro, così come l’artista stesso ha dichiarato in un’intervista a Il Sole 24 Ore: “Angelo, che se non ci fosse probabilmente oggi non staremmo facendo questa strada perché è una persona che…un grande visionario, che ha messo tanta della sua esperienza, non solo nella mia musica, ma nella mia vita. Mi ha insegnato tanto e appunto, mi ha anche permesso di osare perché molte volte anche rischiare è importantissimo”.

Nel libro Calculli analizza i successi ottenuti, senza nascondere le insidie di un ruolo che affascina molti ma che rimane spesso nell’ombra.

Chi, come me, segue Achille Lauro da Barabba Mixtape, fa sicuramente fatica a ritrovarsi nella sua più recente discografia.

In questi anni, indubbiamente, Lauro ha fatto un percorso artistico tale da discostarsi completamente dalla trap per sperimentare con la musica, un percorso che l’ha portato a perdere i fan degli inizi (o parte di essi) e trovarne di nuovi. Un percorso che può essere definito Prima e Dopo Rolls Royce. In parte del suo percorso più recente, Achille Lauro è stato affiancato da Angelo Calculli, prima che anche le loro strade si dividessero.

Il titolo del suo libro è da 100 a 10, lei fa riferimento al valore economico raggiunto, ma si può parlare anche di fallimento?

Certo. Ci sono tanti modi di concepire un fallimento. Fallire non è necessariamente un termine legato ad un valore economico negativo; si può fallire anche non raggiungendo totalmente l’obiettivo di un risultato operativo e non solo economico che ci si era prefissati di traguardare. Per esempio il mancato obiettivo dei live negli stadi previsto per il 2023 è un obbiettivo non raggiunto, ergo è un fallimento, un fallimento dovuto essenzialmente ad una scelta discografica del 2022 che non ha raggiunto numeri importanti e nella quale il mio intervento è stato marginale se non nullo perché per quanto mi riguarda, già da Sanremo 2022 avevo iniziato ad avere dubbi sulla tenuta artistica del progetto.

Inoltre, il valore economico raggiunto oltre ad aver potuto essere un valore di maggiore entità, avrebbe dovuto costituire anche un valore consolidato per gli anni a seguire e non solo per un periodo. Non parliamo poi del fallimento nelle relazioni personali. Tutto quello che si costruisce anche a livello relazionale e umano nel momento in cui crolla di colpo di per sè rappresenta un fallimento.

Quando lei ha incontrato Achille Lauro, che era considerato uno dei protagonisti della trap in Italia, ha mai pensato che se avesse continuato per quella strada oggi sarebbe diventato un top player?

Onestamente no; non mi ero mai posto questa domanda per due ragioni. La prima la si può riscontrare nelle dichiarazioni in decine di interviste rilasciate dall’artista in cui rappresenta di non essere un trapper ma un contaminatore e sperimentatore di generi. Una delle cose che ricordo con più nitidezza è proprio la sua insistenza, per esempio, nei confronti di Wikipedia per far eliminare la definizione “trapper”. In altre interviste si definisce un poeta bohémien, un rivoluzionario pop, punk, rock e glam. Io ho conosciuto Achille Lauro da “Pour L’Amour”, un disco samba trap. Ma per esempio cosa avevano di trap “Angelo Blu” oppure “Penelope”? Certo oggi vedo e sento che sta contaminando il suo nuovo mondo (che onestamente non ho capito quale sia, se per esempio è il reggae) con le sue vecchie cose, come ha fatto con “Fragole” e allora penso che forse il suo mondo era quello della trap e che probabilmente la mia visione del progetto è stata completamente sbagliata. Se così fosse, mea culpa! Certo mi viene da chiedere una cosa: se era quella della trap la sua strada, ed in quel momento era nella squadra migliore che potesse esistere con Marracash, Sfera Ebbasta, Charlie Charles e Shablo, perché se n’è andato sbattendo la porta in faccia a tutti? Io ancora non c’ero, nè ci conoscevamo, né sapevamo della rispettiva esistenza. Magari a volte la eccessiva sperimentazione può generare confusione e far perdere linearità ad un progetto artistico e inoltre, se sperimenti, il successo non è una immediata e logica conseguenza.

All’epoca Lauro veniva da un lavoro di 10 anni con un team ben consolidato di amici e un’etichetta tutta sua, com’è nata la scelta di mollare tutto?

Qui ci sarebbe tanto da dire. Posso solo rispondere, come ho scritto nel libro, che mi sono trovato di fronte ad una disorganizzazione allucinante da un punto di vista societario e amministrativo. Il team che ho trovato io al netto di due/tre figure che per me avevano ruoli errati e in alcuni casi inutili, non era numericamente consistente. C’era una ex, credo, estetista che faceva l’assistente personale di Lauro e Doms, c’era appunto Doms, c’era Dj Pitch, Gow Tribe, un autista o diciamo assistente al tour (anche se non esisteva un tour ma dj set nei locali) e per il resto cugini e amici. Quando abbiamo riorganizzato la società ho chiesto di coinvolgere la mamma di Lauro e proposto a quelli che c’erano dei ruoli più idonei alla loro formazione e capacità. Alcuni sono rimasti e altri sono andati via. Per la questione relativa a Doms credo non debba rispondere io ma i diretti interessati. Io ho molta stima di Boss Doms e credo che la sua assenza produttiva si sia sentita, tanto che adesso è stato richiamato a corte. Ma non solo: molti di quel gruppo sono ritornati, a partire dalla sua assistente personale. Nel libro ci sono alcuni riferimenti a questi episodi. Se devo fare una considerazione sul team vecchio l’unica cosa che mi viene in mente è paragonare questo tipo di gestione ad un cerchio disegnato al contrario, da destra verso sinistra. Un giro in cui ti riavviti intorno a te stesso e torni al punto di partenza e ti ritrovi a lavorare nuovamente in una cucina di casa al posto dello studio in centro a Milano e con quelle stesse persone che avevi mandato a casa, anche facendo riferimenti specifici e scritti rispetto alle loro incapacità professionali. Alla fine io sono certo che per una persona con un carattere come quello di Lauro, circondarsi di Yes Man sia la cosa più giusta e in linea con il suo pensiero ego riferito.

Qual è il suo più grande rimpianto in questa vicenda e il traguardo che sente di aver raggiunto?

Ho messo a dura prova la mia salute, la mia vita, il mio benessere psicofisico. Mia moglie ha avuto una interruzione di gravidanza durante Sanremo 2019. Sono andato vicino alla morte nell’ottobre del 2020. Dovrei averne rimpianti ma la cosa assurda è che non ne ho se non quello di non essere andato via già a maggio del 2019 ed essermi lasciato convincere a restare, non solo quella ma molte altre volte. Chi come me ha commesso l’errore di non essere freddo e calcolatore nel business e nella gestione di un artista non può avere rimpianti né rimorsi ma deve solo accettare gli accadimenti e farsene una ragione.

Il traguardo che sento di aver raggiunto è aver potuto partecipare alla realizzazione di 2 album epici “1969” e “1969 Achille Idol Rebirth” e di aver “prepotentemente” insistito affinchè si pubblicasse il brano “Bam Bam Twist”.

Ad oggi possiamo dire che Achille Lauro non è tra gli artisti che vendono di più o che riempiono stadi e palazzetti, secondo lei qual è il motivo? Qualcosa è andato storto?

Non credo che Achille Lauro abbia mai venduto più di altri. Facevamo buone cose ma quelli sono i numeri. Togliendo “Mille” e “Thoiry” che non sono brani di Achille Lauro, il brano con il maggior volume di streaming è “Bam Bam Twist”, circa 47 milioni. Da “Stripper” a “Che sarà” la discesa è vertiginosa e “Fragole”, considerate sponsorizzazioni, investimenti, presenze radio, partecipazioni a live radio, ospitate e chi più ne ha più ne metta, oggi è sotto i 3 milioni e magari arriverà a 5,7. Chissà se farà una certificazione FIMI. Se avessimo usato la stessa strategia su “Bam Bam Twist” (brano che Lauro non voleva neppure pubblicare) oggi avrebbe il doppio degli streaming. I numeri di Rkomi, Sfera, Marracash, Lazza per esempio sono molto più alti. I live di Achille Lauro hanno sempre fatto pochi sold out. I palazzetti? Gli Stadi? Ho sentito dire da un fan che vuole fare l’Olimpico: Auguri. Io mi accontenterei di riempire grandi teatri e club. Ma l’ambizione e i sogni fanno parte della vita ed è giusto che ci siano. Cosa può essere andato storto? Io avrei puntato, ad un certo punto della carriera, al vero cantautorato, scevro dai lustrini e scenografie simil Michael Jackson, Madonna ecc ecc, che possono funzionare per un pó ma che alla lunga hanno solo effetto per gli occhi e non per le orecchie. Alla fine, gran parte del fan club dell’artista è composto da donne over 35/40 che basano il proprio gusto artistico più sul personaggio che sulla sua musica, e questo è un indicatore che dimostra che magari la sperimentazione è più percepita dal punto di vista dell’immagine che della musica. Per questo forse il suo odierno tentativo di tornare al passato, sia come team che come musica. Ma il passato è passato: non è futuro.

Quanto è difficile il ruolo del manager nella discografia italiana? Ed è mai stata dura far coincidere il suo pensiero con la visione dell’artista?

La musica in Italia è un oligopolio. Non lo dico io, lo dicono i numeri. Un oligopolio che sta saturando di offerta il mercato e che induce l’ascoltatore ad un consumismo musicale che gira vertiginosamente da anni senza sosta. La saturazione porterà alla implosione. La tenuta artistica in termini di durata e presenza sul mercato di un brano è davvero cortissima e breve. I brani escono, si consumano e scompaiono in pochissimo tempo e spesso anche gli artisti hanno breve carriera. Con debite eccezioni ovviamente. Il lavoro del manager? Non esiste un albo. Manager può essere chiunque: un costumista che si cimenta in questa attività, un autista che ritiene di averne doti e competenze, un parente, un bodyguard che vuole fare la scalata pensando di avere doti manageriali. Chiunque può decidere e fare questo lavoro. È il far west dell’arte musicale. E lo è dai tempi dei tempi. Abbiamo assistito quest’anno a cambi di poltrone nella discografia simili al calcio mercato. La musica oramai ha quasi gli stessi meccanismi di funzionamento del calcio. Compravendite, età anagrafica, allenatori/manager che cambiano, strateghi, direttori artistici, un vero e proprio bailamme. E chi ne gode? L’unico mercato senza crisi per il momento è il live, inteso come settore per le grandi Label che lo gestiscono. Nessuno investe sul vivaio: un artista interessa solo quando già da solo ha fatto numeri. Gioco facile, senza rischi e che dura finché il “limone” ha succo al suo interno. Spero che crescano etichette indipendenti e che gli artisti più giovani aprano gli occhi e comprendano quello che gli aspetta in una carriera in cui si diventa “proprietà” di altri. Proprio “Bam Bam Twist” è un esempio di diversità di vedute ed è anche forse tra i pochi momenti in cui credo di essermi cimentato in una dura prova di forza.

Nel libro parla anche di Sanremo, non crede che le partecipazioni al Festival abbiano dato ma anche tolto all’artista?

Le prime due partecipazioni hanno dato moltissimo. Dal punto di vista della notorietà, della crescita immediata dei numeri social, della raccolta di placement e di accordi commerciali importanti e anche dei risultati che hanno impattato sul disco “1969” e “1969 Achille Idol Rebirth”. Circa il terzo Sanremo, rimando al racconto nel libro e sul quarto come ho scritto sempre nel libro “La Domenica è meglio andare a Messa”. L’ospitata al quinto faccio fatica a commentarla in termini di utilità della presenza (forse funzionale alla sola promozione dei successivi live nei teatri) e ancor meno in termini di performance. Gli occhi e le orecchie non le ho solo io e non vorrei che queste parole fossero interpretate come parole di risentimento.

Da cosa è nata l’esigenza di scrivere un libro per raccontare quello che lei definisce un case history?

Nel 2022 ero molto sofferente a livello psicologico. Ero circondato da gentaglia, traditori, spie, tutte persone che ruotavano intorno al progetto con il solo scopo di eliminarmi per avere spazio. Uno spazio poi solo economico e di sfruttamento dell’artista a cui, ribadisco, hanno solo la capacità di dire sempre e solo “Si signore!”. Si erano creati gruppetti tipo moti carbonari tra costumisti (stilista è un’altra cosa), driver, fotografi, parenti (in modo particolare) e vecchie glorie tornate improvvisamente alla ribalta. Avvertivo pesantemente questa pressione molto forte. Mi ero reso conto che l’artista non mi seguiva più, mi sembrava una bandiera al vento che sventolava verso diverse direzioni e mi faceva sentire come fossi un vento contrario. Una sera a Napoli di punto in bianco mi sono ritrovato al live la sua vecchia assistente che lui stesso alla fine del 2019 aveva mandato via; quella a cui, a suo dire, chiedeva la bottiglia verde e gli portava la bottiglia verde ma che nonostante tutto era stata mandata via per ragioni che mi piacerebbe spiegare ma non posso. Per cui ad un certo punto ho iniziato a non dormire più, ho cominciato a sentire che qualcosa in me non funzionava più a livello psicologico e ho iniziato a frequentare uno studio specialistico e poi un altro ancora. Un neuropsichiatra cercava di tirarmi fuori parole che esplicassero questo mio stato d’animo ma facevo molta fatica, così mi consigliò di scrivere tutto, come fosse uno sfogo. Lì pensai di unire due cose. Raccontare parzialmente questo “caso” ma anche fornendo utili (spero) consigli ai ragazzi che si apprestano a svolgere o che desiderano svolgere una attività manageriale. In parte credo possa essere utile anche ai giovani artisti per riflettere su una carriera nella musica. E così è nato il libro.

In futuro vorrà continuare questo percorso discografico o ha altri progetti?

Continuo certamente a sostenere progetti di emergenti. Lavorare con i ragazzi mi fa sentire utile e mi mantiene “vivo” e vado avanti sostenendo i progetti in cui credo. Non più solo nella musica. Lo farò finché ne avrò.

Il libro “Da 100 a 10. Un viaggio nella musica in Rolls-Royce” per Readaction Editrice, è disponibile in tutte le librerie e digital store.

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