La pagella delle uscite settimanali

7 e 1/2 a Flop di Salmo. Forse 17 tracce da digerire e assimilare oggi come oggi che “a nessuno frega più un cazzo della musica, siamo diventati il sottofondo di un podcast, un balletto per TikTok” come dice Salmo in Criminale, sono tante. Del resto c’è chi ha trovato noioso Donda di Kanye West e chi CLB di Drake, quindi come si può dopo appena 24 ore apprezzare e comprendere appieno un disco come Flop? Eppure Flop è un disco che se ne frega. Salmo se ne frega di deludere le aspettative, di non piacere, di essere criticato, o almeno è questo che emerge ascoltando il disco. Ma è davvero così? Perché Salmo ha deciso di non concedere interviste alla stampa per Flop, quindi se ne frega della stampa o preferisce evitare domande scomode? Chi può dirlo.. ma parlando di musica in Flop c’è un dualismo tra il Salmo punk rock e aggressive rock e il Salmo più pop, un po’ come lo abbiamo sentito in Playlist. Come a volere accontentare tutti, come a voler unire le sue due anime, che poi sono semplicemente la sua cifra stilistica. E comunque vada lui sa che verrà criticato e lo dice subito, così per pararsi il culo “è ok, sono un venduto, è ok, chi se ne frega”. Appunto chissenefrega. Qui non stiamo parlando di Maurizio ma di Salmo e della sua musica e Flop è un disco con i controcazzi. A cominciare dalle produzioni e dal suono che letteralmente la fanno da padrone, dove Salmo ha attinto dal suo background con uno sguardo attento al futuro e dove, insieme ai producer con cui ha lavorato al disco, davvero non ne ha sbagliata una. I temi affrontati ruotano intorno al concetto di flop, di caduta, così come si evince già dalla copertina del disco, nella quale Salmo è ritratto come Lucifero prima della sua caduta nella tela “L’angelo caduto” del pittore francese Alexandre Cabanel, del 1868 (oggi conservata nella collezione dell’Académie des Beaux-arts di Parigi). Salmo si interroga sulla caduta, sul floppare, sul fallimento. I testi sono pieni di riflessioni amare sul materialismo, la ricerca della fama a tutti i costi, del successo che si basa troppo spesso sui like e sui numeri. Fa ridere che a trattare questi argomenti sia proprio lui che nei numeri e nelle cifre dello streaming ci sguazza e non ha mai perso occasione di vantarsene, ma in fondo gli si può dare torto? Non è forse vero quello che dice in Mi sento bene “dovessi crepare domani, direbbero ‘tutta strategia di marketing”?

Ecco, è un po’ questo il fulcro di Flop, ma c’è anche spazio per brani più romantici, considerazioni sulla pandemia, sul Presidente del Consiglio Draghi, una bella frecciatina a Diodato e una citazione ad Alex Britti. E poi ci sono i featuring, 4 featuring, una scelta controcorrente così come lo è stata quella di fare un disco di 17 tracce, ma azzeccata. Guè Pequeno e Marracash ultimamente non sbagliano e non deludono mai in nessun disco, sono entrambi in forma smagliante. Noyz un po’ sottotono e Shari poco entusiasmante.

8 a Bromance di Mecna e CoCo. Bromance apre le porte al primo joint album di Mecna e CoCo, ti fa venire l’acquolina in bocca e salire l’hype perché questi due artisti sono uno spettacolo insieme, una forza in grado di contrapporsi e completarsi al tempo stesso. Bromance è l’incipit dell’intero progetto, un intro costruito in due parti differenti. Nella prima, i due dialogano, quasi si stessero parlando direttamente o scrivendo, ripercorrendo le reciproche carriere e gli impegni degli ultimi anni. È uno scorcio nella vita degli artisti che racconta il percorso verso questo disco collaborativo. Nella seconda parte, invece, rotti gli indugi, il brano catapulta l’ascoltatore in un back to back al fulmicotone dove Mecna e CoCo si alternano al microfono, tra punchlines ad effetto e ritmo serrato. In poco meno di tre minuti, Bromance condensa il succo di questo sodalizio artistico.

7 a Punkabbestia di Naska. Dopo aver ascoltato il nuovo singolo di Naska anche tu ti senti come uno di quelli che non metteranno mai la testa a posto? È energia pura, rabbia, ribellione, grinta e riflessione. È pop punk e Naska lo sa fare davvero bene. Punkabbestia è una di quelle canzoni che non vanno analizzate, vanno assaporate, o meglio buttate giù come uno shottino, come chi vive la vita al massimo e non ha tempo per fermarsi, come un giro sulle montagne russe, come una corsa senza fermarsi a prendere fiato. Ecco, così, tutto d’un fiato, alla goccia fino all’ultima nota.

5 a Killer di Daytona KK & Sapobully. Penso che sia un bene che la FSK si sia sciolta, solo che mentre Taxi B nell’ultimo singolo con Boss Doms e Chiello in Quanto ti vorrei stanno dimostrando di saper spaccare, non si può dire lo stesso di Sapobully ancora ancorato a sta trap tutta uguale senza riuscire o volere evolversi. Daytona KK e Sapobully di fatto funzionano insieme, lo hanno già dimostrato in Fresco e Sotto Terra / Vuoto, ma oggettivamente non sono niente di che. Killer è uno street anthem che combina frasi crude e linee melodiche nel ritornello, su un tappeto sonoro oscuro, ma scorrevole. Daytona e Sapo ribadiscono (nel caso nei singoli precedenti non lo avessimo capito) di non temere la concorrenza, consapevoli della loro posizione nella scena (quale?), portandoci sempre gli stessi argomenti.

4 a Amico Mio di Neima Ezza e Vale Pain. Il brano è dedicato al loro amico Bene, detenuto nel carcere Beccaria di Milano, ingiustamente secondo Neima Ezza e Vale Pain. Le intenzioni sono buone e ammirevoli, il risultato pessimo. La solita lagna piena di frasi già sentite e risentite e di frasi altrui, come “a volte da tanto male nasce un gioiello /
A volte da un’altra madre nasce un fratello
” detta da Marracash in È finito il nostro tempo. Tra l’altro la frase più bella dell’intera canzone, che non è neanche farina del sacco di Neima Ezza e Vale Pain.

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