I 5 dischi migliori del 2020

Quante volte prima o dopo l’uscita di un disco abbiamo sentito dire “è il disco dell’anno”? E magari eravamo solo a marzo. Si fa presto a dire “è il disco dell’anno” e non è facile dirlo di questi tempi, dove settimana dopo settimana escono talmente tanti dischi e singoli, che spesso non ti ricordi neanche cos’è uscito la settimana prima, un po’ come quelli che non si ricordano neanche cos’hanno mangiato a pranzo. Di dischi belli, decenti o quantomeno degni di nota ne sono usciti parecchi, così come di dischi che hanno diviso opinione e giudizi, che ci hanno lasciato un po’ delusi o con l’amaro in bocca. Impossibile dimostrare un disco come Bir Tawil di Dargen D’amico, o Infernum di Claver Gold e Murubutu, o Malverde di Disme, o ancora Vita Vera di Tedua, 17 di Emis Killa e Jake La Furia, Mr Fini di Guè Pequeno, ogni disco che abbiamo ascoltato ci ha lasciato qualcosa, che sia anche la voglia di non ascoltarlo più.
Detto questo, ho provato a raccogliere i 5 dischi migliori del 2020, o almeno 5 tra i dischi migliori del 2020.

1. L’ULTIMO A MORIRE DI SPERANZA



L’ultimo a morire parte, fin dal titolo, con un bellissimo gioco di parole. La speranza è l’ultima a morire, recita il detto, e Speranza è l’ultimo a morire. Grida la violenza, la criminalità e il disagio con il quale ha vissuto, ma non saranno questi ad ucciderlo, lui sarà l’ultimo a morire perché ha trovato il modo per sopravvivere.
In L’ultimo a morire c’è esattamente quello che ti aspetti da Speranza: la verità delle persone che realmente vivono la strada, di quelle che non si limitano a raccontarla, ma che appartengono ad essa; la rabbia degli ultimi, dei dimenticati e degli invisibili; la rivalsa sociale che sfocia in rancore. È un disco talmente duro e spesso incazzato che è difficile digerirlo al primo ascolto e restarne indifferenti, perché Speranza non è quello che racconta le storie, ma quello che le rappresenta. E così può parlare di spaccio, di criminalità, può usare i termini del linguaggio tipico di quella gente e risultare credibile arrivando a rappresentarla al meglio. Può urlare il suo disagio, perché ha attitudine da vendere. Ed è per questo che piace, perché non ci va giù leggero, al contrario fa della violenza una sorta di rito di purificazione.

2. RIOT DI IZI


Riot significa rivolta, sommossa intese come critica al sistema e agli abusi di potere senza però cadere nella violenza.
Un concetto decisamente interessante e sviluppato in più tracce del disco, che più che un album può essere visto come un vero e proprio concept album. Di fatto Riot è un disco volutamente eterogeneo, una raccolta di tredici tracce, da vedere come una raccolta di pensieri, intuizioni che ad un primo ascolto sembrano non essere vincolate ad un concept specifico, ma che in realtà trovano il loro concept nel titolo. E infatti la parola chiave del disco è proprio RIOT, la rivoluzione con la quale Izi ci presenta la sua esasperazione nei confronti di una società a cui sente di non appartenere, caratterizzata da automatismi logoranti, superficialità e infimo consumismo, da ipocrisia e incongruenze in ogni ambito e circostanza, ma soprattutto mette a nudo il proprio disprezzo nei confronti delle ingiustizie, delle cosiddette “cose più grandi di noi”, quelle che, secondo il pensiero comune, non cambieranno mai.
Senz’altro Diego non vuole stare fermo nel Matrix, al contrario, invita, se stesso e il suo pubblico, a non scappare, a imparare a confrontarsi con la realtà, senza violenza, ma continuando a porsi dubbi e richiedendo spiegazioni, pretendendo rispetto, chiarezza e trasparenza. In RIOT emergono spesso valori umani, anche se mai politicizzati in senso tradizionale, e un occhio puntato contro il sistema.

3. GEMELLI DI ERNIA



Si può dire che Gemelli sia uno dei migliori dischi del 2020? Forse, ma una cosa è certa: Ernia ha fatto un ottimo lavoro e Gemelli è il miglior disco della sua carriera. Si percepisce come sia stato scritto e concepito mosso più dalla passione artistica nel voler sperimentare vari suoni che lo appassionano che da un progetto statico, pensato e creato ad hoc. Gemelli contiene la dualità di Ernia, il suo saper passare da brani più soft ad altri più duri e diretti, mettendo in gioco se stesso e la sua grande capacità di scrittura. Gemelli è un disco che ti cattura, traccia dopo traccia  che non ti stanca e non ti fa dire “questa la skippo”. È un album hip hop in tutte le sue sfumature, dal rap italiano anni 2000 alla west coast americana, c’è davvero tutto.

4. MOOD DI NAYT



Nayt poteva fare di più? Forse, ma è stato estremamente coraggioso nel portare un album con un solo featuring concentrando l’attenzione su se stesso e sui suoi racconti. Nel disco, composto da 13 tracce, troviamo due stati d’animo principali che si alternano e si bilanciano. E lo si capisce fin dalle prime due tracce, una più forte e “spocchiosa” e l’altra più intima e introspettiva. In  questo album Nayt si mette a nudo, coniugando il suo lato più impulsivo, che si riflette nella tecnica con cui le barre sono costruite, e quello più introspettivo, che si riflette nella melodia. Il risultato è un connubio tra il percorso privato della vita del rapper e l’affrontare temi legati alla contemporaneità, con l’unico scopo di smuovere le coscienze di chi ascolta.

5. HO FATTO TARDI DI JACK THE SMOKER



Credo che Jack The Smoker abbia fatto un disco capolavoro, sicuramente il miglior disco uscito da Machete quest’anno. Indipendentemente dall’hype e da quanto un artista venga riconosciuto come un big della scena o come uno di quelli di cui aspetti il disco in trepidante attesa, se uno sa fare rap e sforna un disco del genere non ci sono cazzi, spacca dalla prima all’ultima traccia. Sono passati quattro anni da Jack Uccide e Jack The Smoker è più in forma che mai, ci ha riportati indietro nel tempo con questo disco, sembra di vederlo da ragazzino passare le giornate al parchetto e fare rap, sputare rime con gli amici solo per divertimento e passione. Questo disco è come se fosse la fotografia di quei momenti di libertà, di felicità fatta di vita di provincia, senza cadere per forza nei soliti cliché della strada ed è un omaggio alla purezza di quella vita, ai rapporti veri e totali, e nello stesso tempo una critica ai ritmi frenetici che oggi ci condizionano in tutto, ma è anche un omaggio al rap fatto ancora per passione e non solo per numeri, marketing e business. E così le rime sono crude, dure, ironiche, sentite e veritiere, e poggiano su tappeti sonori che le esaltano alla perfezione e che dire anche i featuring sono perfetti. Non c’è niente che non va in Ho fatto tardi, è un disco destinato a restare anche se forse non ha scalato le vette delle classifiche.

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