Le interviste dietro le quinte

Quando ho iniziato a scrivere, molto prima di Rebel Mag, ero una sorta di inviata per le interviste. Un po’ perché ero l’unica che aveva tempo libero, un po’ perché mi offrivo volontaria. La cosa poi è sfuggita di mano quando uffici stampa e management chiedevano espressamente di me per intervistare i loro artisti. Vecchi tempi eh… Ma mi ritrovavo con una media di un’intervista al giorno, a correre a destra e sinistra, a parlare con artisti di cui non avevo neanche sentito il disco, ma con il tempo ho capito le cose che dovevo dire. E mi sono trovata con quello che oggi è uno dei protagonisti delle hit estive che mi ha raccontato aneddoti top secret sulla sua vecchia etichetta e su una richiesta di dissare un famoso cantante, richiesta che lui ha rifiutato. Era un po’ come una sorta di confessione. Le mie interviste duravano un’oretta buona, tra cazzate, racconti e poi ovviamente c’era la parte che potevo scrivere. Ma nessuno ha mai battuto Ensi. Ero in Warner, doveva uscire V se non ricordo male, e niente lui è partito come un fiume in piena a parlare di hip hop e io mi sono portata a casa due ore di registrazione. Scrivere due ore di registrazione è come scrivere un libro praticamente… Un lavoraccio!
E come se le varie interviste non fossero sufficienti, io mi ero pure inventata due format. Uno era Hey Mr Dj, era pure figo. Portavo i dj in un locale a suonare una sessione live e poi facevamo due chiacchiere. Il tutto era video e ovviamente oltre a pagare ogni volta l’affitto dell’attrezzatura, dovevo scarozzarmi questi piatti pesantissimi per Milano per andarli a prendere e riportarli. Ma tutto ok. E poi c’era Storie di strada. Una figata. Mi sono ritrovata al parchetto dov’è cresciuto Jack The Smoker, a fare un giro in macchina nei suoi luoghi con Mondo Marcio, ma non è mai tutto oro quello che luccica.


Gli artisti sono un po’ prime donne, se vogliamo, e a volte, quando si tratta di format nuovi, ti senti dire “sì, ok, ma prima voglio vedere come vengono le interviste con gli altri, poi decido”, oppure “sì ok, ma la routine suonata dal vivo non la faccio, te ne mando una registrata”. E a una certa la poesia ti passa.
Ti passa anche la voglia. Sai quanti artisti ho intervistato e non ho ricevuto manco un grazie? Una volta addirittura mi è stato detto che avevo indirettamente dato dell’ignorante a un rapper. “Come puoi chiedere a un trapper cos’è per lui l’arte?” Mi ha chiesto il suo ufficio stampa…Ma sai, se ha intitolato il disco così, un motivo ci sarà, no? Forse no..


Una volta invece ho aspettato 2 ore, (non per dire, ma di orologio), in Universal ad aspetti che Laioung si presentasse all’intervista fissata. Posso dire che ero incazzata nera?
Ah l’attesa… E quelle interviste che fai scritte (mandi le risposte via mail e ti inviano le risposte) che non arrivano mai.
Ci credi che sto aspettando risposte a un’intervista da giugno? In confronto le due settimane che sto aspettando ora per un altro artista mi sembrano una passeggiata…
E ho imparato una cosa: mai e poi mai far leggere un’intervista prima di pubblicarla. Ti cambiano anche le virgole. Una volta mi hanno chiesto di far passare un artista per colto. E ma se parla come uno che ha un pesce in bocca non posso trasformarlo in Indro Montanelli. Oppure mandi la bozza e non scherzo te la mandano approvata 4 mesi dopo. Ti rendi conto?

Ovvio che uno poi si rompe le palle.

Che poi vorrei sapere come fa Dikele, si siede davanti all’artista e tutto va liscio come l’olio, leccate di culo e faccette comprese.
Ecco, le leccate di culo e la promozione. Sai quando mi è passata la poesia nel fare le interviste? Quando ho capito che era promo fine a se stessa. Dai il tuo tempo e il tuo lavoro per parlare di un disco che deve esserti piaciuto per forza e che deve essere perfetto sotto ogni punto di vista. E ovviamente le domande devono vertire in quel senso, non puoi mica mettere in difficoltà l’artista, ma che sei matta?
E poi magari fai tutto bene e come dicevo prima manco un grazie. Spesso siamo in 10 o più a dover fare interviste in un pomeriggio e stai lì in attesa ore, perché mai sono puntuali, e aspetti il tuo turno come quando sei alla Posta.
Io odio andare alla Posta.

Oppure il tuo interlocutore si appisola. Ero a intervistare la Dark Polo Gang per l’inizio del loro tour, ero seduta di fronte a Tony Effe che si stava letteralmente addormentando davanti a me. Giuro. Un po’ mi veniva da ridere, un po’ evitavo di guardarlo, tanto per lo più rispondevano Pyrex e Wayne. Ma ero davvero così noiosa mi sono chiesta…


Ma poi ci sono quelle volte in cui ti senti dire “speravo ci fossi in conferenza stampa, perché volevo chiederti se volessi intervistarmi”, o “grazie per l’intervista e per non aver travisato le mie parole”, o “ma sei proprio brava a fare le domande”. E alla fine ti senti soddisfatta. Alla fine pensi, sto facendo bene.

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