C’è una sorta di “razzismo” nei confronti del rap napoletano?

Venerdì (14 agosto) Nicola Siciliano, originario di Secondigliano, ha pubblicato Napoli 51, il suo primo disco ufficiale.
A soli 18 anni, Nicola Siciliano è riuscito, singolo dopo singolo e collaborazione dopo collaborazione, a portare nella scena un suono e uno stile unici, composti da una combinazione di elementi che attingono dalla ricca tradizione musicale napoletana e da un’attitudine che tocca la sfera della trap, del rap e dell’hip hop. Un mix di personalità, consapevolezza, rivalsa e determinazione unita ad un linguaggio semplice ed incisivo, ma decisamente sorprendente per la sua giovane età. Il disco è uscito a metà agosto e in molti si aspettavano di sentire un mix di suoni e cliché già sentiti e risentiti ed è proprio qui che Nicola Siciliano è riuscito a sorprenderci portando un qualcosa di nuovo e fresco, che se vogliamo attinge alla musica di Travis Scott.
Napoli 51 rappresenta il primo capitolo di un progetto che uscirà prossimamente. Gran parte dei brani sono stati pensati e sviluppati durante la quarantena e rappresentano una serie di frammenti che vanno a ricomporre, definire e consolidare lo stile e la direzione artistica intrapresa da Nicola: una linea aperta, che si muove liberamente tra generi, sonorità e riferimenti, esplorati e rivisitati sia nelle liriche che nelle produzioni, dimostrando una ecletticità straordinaria per un artista così giovane. La musica di Nicola Siciliano è attraversata da una forte propensione alla melodia e radicata nella tradizione sonora napoletana ma non mancano brani dal sapore old school (“Gonfie Vele”), canzoni più intime e delicate (“Io e Te”), singoli che si inseriscono nel filone della scena trap milanese ma riletti in una chiave estremamente personale (“Proprio a me” e “Slide”). Le collaborazioni inedite presenti nell’album si muovono proprio in questa direzione: dal feat con il conterraneo e amico Enzo Dong alle collaborazioni con le giovani promesse Mida e Lil Busso, fino alla voce unica e raffinata della modella e cantante Clara Soccini. Alle produzioni ritroviamo due nomi affermati della scena italiana: Andry The Hitmaker, il duo milanese 2ndRoof e una serie di brani prodotti in prima persona da Nicola Siciliano. Nel disco emerge infatti la seconda pelle dell’artista, quella del producer e beat maker con strumentali che spaziano tra i generi e che ambiscono a rappresentare la personale visione del “futuro” di Nicola, filo conduttore alla base del disco, attraverso beats e suoni che rievocano una dimensione aliena e fantascientifica. Al centro dell’album ritroviamo Napoli, la sua emotività e le sue nuove generazioni, raccontate nei loro sogni, nell’attitudine solare e positiva, nella grande spontaneità ed energia che da sempre distinguono il capoluogo partenopeo. Nicola parla della sua città attraverso aneddoti e ricordi personali, legati all’adolescenza, alla scuola, al quartiere vissuto e, naturalmente, attraverso la sua lingua, con un lavoro che lo consacra tra i portavoce più interessanti della nuova scena campana.

Il disco, nonostante sia solo il primo capitolo di un progetto più ampio, è senza ombra di dubbio uno dei migliori dischi d’esordio degli ultimi anni, contattando anche la giovane età di Nicola Siciliano.

 

 

 

 

Quello che mi ha stupita, però, è stato leggere sui social commenti del tipo “il napoletano non lo capisco”, “non lo ascolto perché è in napoletano e non capisco cosa dice”, presumo quindi che tutti questi utenti e ascoltatori di rap italiano non ascoltino neanche Travis Scott, Kanye West e il tutto il rap statunitense, ma neanche quello francese, tedesco o il reggaeton di J Balvin e Bad Bunny.

Leggendo quei commenti mi sono chiesta è possibile che ci sia una sorta di “razzismo” o repulsione da parte di alcuni nei confronti del napoletano? Indubbiamente la scena campana è molto forte, senza contare veterani come Luchè, Ntò, Clementino, Rocco Hunt, anche le nuove leve come Enzo Dong, Geolier, Speranza e Nicola Siciliano stanno spaccando e non poco, ma perché ad alcuni risulta ostico il dialetto napoletano? È forse uno dei dialetti che può essere considerato una lingua a sé, insomma non esistono rapper milanesi, per esempio, che rappano in milanese. Ma tutti gli artisti campani, dai neomelodici, al pop, al rap, portano la loro terra ben radicata nel cuore e di conseguenza nella musica e indubbiamente il dialetto napoletano ha un suono che ben si presta alla musicalità.

 

Tutto sta nel saper dosare parti in dialetto con parti in italiano e mi sembra che gli artisti campani siano perfettamente in grado di farlo. Ma perché allora alcuni ascoltatori restano scettici nei confronti di questo tipo di musica? Ho fatto questa domanda a Livio Cori, che mi ha dato una risposta che mi sento di condividere in pieno:Sicuramente c’è pregiudizio nei confronti del dialetto napoletano e della cultura napoletana in generale. Molti di questi che dicono di non capire il dialetto ascoltano musica in altre lingue senza capire nemmeno una parola. C’è ancora razzismo, anche nella musica“.

 

Ecco, forse è davvero una questione di razzismo e pregiudizio, anche se ovviamente non si può fare di tutta l’erba un fascio. La musica è talmente soggettiva e personale che uno può trovare “fastidioso” ascoltare un disco con grandi parti in dialetto, mentre uno in francese no, nonostante non capisca nessuna delle due lingue.

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