Emis Killa: “basta con la scusa del non ho i soldi per emergere”

Ieri sera abbiamo assistito su Instagram a un altro pippone/sermone di Emis Killa, che questa volta ha toccato un tema molto caro ai tantissimi ragazzi che provano a sfondare con il rap.

 

Un vincente trova sempre una strada, un perdente trova sempre una scusa” diceva Lao Tzu. Davvero prima era più facile sfondare con il rap? Prima, quando non c’era Instagram, i blog che parlavano di rap erano due, non c’era YouTube, fare rap era un gioco, non esisteva quella cosa del faccio rap per diventare famoso. Era proprio il contrario. Non c’era uno storico tale di rapper diventati famosi, di major che mettevano sotto contratto artisti rap e che li facevano sfondare. Al contrario, se facevi rap, nella maggior parte dei casi eri uno sfigato, e ti ritrovavi al parchetto o in piazza con altri sfigati come te che provavano a fare rap.

 

Inoltre c’era la scena underground che se firmavi con una major ti dava del venduto, del commerciale e ti ritrovavi in bilico tra un mainstream dove regnava il pop e un underground che ti puntava il dito contro.

 

E se volevi ascoltare rap eri nella merda.

 

Mica c’era Spotify, che un minuto dopo mezzanotte ti permette di ascoltare tutta la musica appena uscita, dovevi andartela a cercare, un po’ girando per i negozi, un po’ grazie a riviste come Groove e Aelle che parlavano di rap e spesso vendevano un disco insime al giornale, un po’ tramite il passaparola e un po’ illegalmente su Emule. Non era tutto così immediato e alla portata di tutti.

 

 

Per fare rap dovevi farti il culo.

 

Andare nei centri sociale, partecipare alla jam, fare magari viaggi infiniti, dormire in stazione per poterti esibire. E anche quelli che ce l’avevano fatta, penso a quando Mondo Marcio e Fabri Fibra hanno firmato in major, non sono diventati subito delle star, non era mica detto che i loro singoli sarebbero passati in radio o i loro video su YouTube.

 

 

Fare un’intervista non era una cosa semplice e immediata come ora.

 

I blog che parlavano di rap erano pochissimi, forse due all’inizio del 2000, non c’erano i comunicati stampa che giravano per tutte le redazioni, e che ti garantivano che il tuo nome e la tua musica girasse.

 

E soprattutto non c’erano soldi. Basti pensare al fatto che un disco come Penisola che non c’è di Fedez è costato 200€ per la sua produzione, ti sembrano tanti soldi?

 

 

Forse dire che per emergere oggi sia necessario avere tanti soldi è un po’ una scusa.

 

Oggi le opportunità sono innumerevoli, è tutto a portata di mano. I social danno la possibilità a chiunque di emergere. Certo, c’è anche molta speculazione sugli artisti emergenti, e sicuramente ci sono troppe realtà che chiedono soldi per post o Instagram stories, ma se uno ha talento prima o poi ce la fa, perché le opportunità ci sono.

 

Major ed etichette firmano artisti continuamente, se hai le skills giuste ce la fai. Il problema oggi non è tanto emergere, ma restare in un mercato saturo e in una scena affollatissima. Rispetto a prima ci sono molte più opportunità che esulano completamente dai soldi, ma c’è anche molta più fretta di diventare famosi.

 

Tutto questo è vero fino a un certo punto, perché nel momento in cui abbiamo a disposizione mille opportunità, parlo di Instagram, di YouTube, di Spotify e dei vari blog e per emergere in ognuna di queste ci vogliono soldi, il successo diventa un esborso e non pura meritocrazia. Per comparire sulla pagina Instagram X devo pagare, per fare numeri su YouTube devo pagare, per fare streams su Spotify devo pagare e quindi ci vogliono i soldi. Tutto questo perché i numeri, anche e soprattutto quelli degli artisti già noti, sono fake, comprati, gonfiati e manipolati, va da sé che se un Pinco Pallo qualunque vuole farsi notare deve spendere soldi.

 

Non serve altro. Per farmi notare devo pagare.

 

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