Fare la spesa ai tempi del Covid e il piano “entro, prendo, scappo, ciao”

«Il popolo ha fame, serve pane». «Dateglielo». «Non ce n’è». «Dategli la farina».

«Ma è proprio quella che manca!». «Dategli le uova». «Le hanno usate tutte per fare le brioche in casa».

 

Ci fosse stata Maria Antonietta al comando, l’avrebbero decapitata un’altra volta.

Fare la spesa ai tempi del Covid è diventata una tortura, e infatti non c’è telefonata del giorno, tra amiche e colleghi, che non tocchi l’argomento. Tutte le aspettative, i sogni, i desideri della vigilia, si sgretolano di fronte alla fila di persone con guanti, mascherine, carrello e sguardi insofferenti uguali al nostro. E il percorso di guerra tra gli scaffali, ripassato mentalmente come piloti la sera prima, cambia appena arriva il proprio turno. E il piano “entro, prendo, scappo, ciao” si perde in un labirinto di incertezze.

 

«Ma tu lo sai che io, scientifica come sono, ora invece vengo assalita da un senso di panico tale che sbaglio tutto? Così finisce che quando esco ho dimenticato metà delle cose, di solito quelle che piacciono a me»

«Ma tu lo sai che io, agitata come sono, un giorno ho buttato nel carrello 10 salamini così schifosi che nè mio marito nè il gatto sono riusciti a mangiarli?».

«Io dovevo andare stamattina, c’erano talmente tante persone in coda che ho rinunciato».

«Per forza, dovevi andare a mezzogiorno, non c’è mai nessuno».

«Ma io sono andata a mezzogiorno».

«Ah». Se ci fossero le intercettazioni telefoniche, i tabulati registrerebbero solo conversazioni di questo tipo.

Cambia l’ordine degli addendi, l’ora, il giorno, e il nome del supermercato, ma il risultato non cambia. Fare la spesa è un incubo, e non finisce al risveglio. Quando si arriva a casa con i sacchi inizia la vera penitenza, perché c’è sempre qualcosa che non va (e poco o niente di quello che va bene).

 

La spesa è il nuovo “non si parla d’altro”.  Prima non ne parlava nessuno, si faceva e basta. Adesso è diventata un caso di Stato sul quale premier, ministri, prefetti, sindaci, famiglie, cercano di trovare la quadra. E siccome la quadra viene sempre storta  come i bordi delle pizze fatte a casa, fare la spesa giusta è diventato più difficile che vincere alla lotteria. Come riuscire ad aprire i sacchetti della frutta senza leccarsi le dita o (per l’amore del cielo) i guanti.

 

Nella settimana di Pasqua le code, poi, si allungano e non c’è più neanche il piacere sovversivo dei primi tempi, quando uscire dal proprio Comune di residenza era come farsi portare le sigarette di contrabbando e ognuno ripassava a mente la parte da raccontare in caso di fermo. Adesso c’è solo il senso di colpa perchè puoi mentire al posto di blocco, ma non a te stesso. E se finisce che ti contagi, solo perchè volevi uscire a prendere una boccata d’aria, sono Covid tuoi. 

 

Di solito però, quelli che vanno 11 volte al giorno a prendere il latte non si ammalano, perchè il loro regno non è nei Cieli, ma qui. Negli altri, invece, regna il conflitto, esco (e rischio) o non esco (e mi accontento). Di solito il bisogno vince sul senso di colpa.

 

Anche se è tornato di moda comperare il pane del panettiere, la carne dal macellaio, la frutta dal fruttivendolo e anzi farseli portare a casa con il giornale, nessuno vuole rinunciare a un giro tra gli scaffali anche perchè è la prima Pasqua con i tuoi della storia dell’umanità, quindi andrebbe festeggiata anche meglio di Natale. Ma il diavolo, si sa, fa le pentole e non i coperchi, e quindi di solito ti fa trovare tutto, tranne quello che ti serviva, di solito alcol, lievito e il tuo gelato preferito… 

 

– Anna Savini

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