Tutti comprano streaming e Spotify lo sa

Un tempo le case discografiche compravano numerose copie di dischi per far crescere le vendite di un artista, oggi si comprano gli streaming e di fatto nulla è cambiato. Il conteggio degli streaming in classifica Fimi non ha fatto altro che far crescere in modo esponenziale questo sistema. Ovviamente per le case discografiche e per le etichette l’acquisto di streaming tramite bot è un costo di marketing, né più né meno, un po’ come per l’acquisto di followers su Instagram, non serve molto per un artista o per una casa discografica per ottenere qualche ascolto in più. Basta cercare su Google “Acquistare ascolti/stream/play su Spotify” per trovare centinaia di siti che vendono servizi che promettono l’incremento del numero di ascolti per una canzone, con prezzi che vanno da poche decine a migliaia di euro.

Molti manager, infatti, così come succedeva con le copie fisiche, acquistano ascolti illegali tramite bot per cercare di aiutare i loro artisti a iniziare bene la carriera, o nel caso in cui questi siano in corsa per la prima posizione in classifica.

Secondo quanto riportato dal Finacial Times, è stato stimato che il numero degli streaming illeciti ammonterebbe oggi al 3-4 % del totale. Secondo Louis Posen, fondatore dell’etichetta indipendente Hopeless Records, in totale si parla di circa 300 milioni di dollari di potenziali entrate perse ogni anno(circa 265 milioni di euro).

 

Se a questo ci aggiungiamo, almeno in Italia, la prassi messa in atto dall’editore di Spotify Italia per entrare nelle playlist editoriali, si può affermare che sia tutto, o gran parte, FAKE. Ma c’è anche da dire che se un brano entra in una playlist editoriale, ma non macina streaming e plays, viene rimosso, perché l’editore italiano deve mostrare l’andamento delle sue playlist a Spotify mondo e queste devono necessariamente essere composte da brani che continuano a crescere a livello di numeri. Va da sé che a quel punto la classiche spintatelle date dai bot entrino in gioco, così come l’acquisto di pubblicità sulla piattaforma stessa.

Questo giochetto, chiamiamolo così, riguarda tutti gli artisti, dai più piccoli ai più grandi, dai più bravi a più scarsi, nessuno escluso. C’è una vera lotta ai numeri e all’entrare nelle playlist editoriali e soprattutto RESTARCI.

Quindi abbiamo: bot, playlist editoriali e servizi a pagamento che promettono di inserire un brano nelle playlist e di aumentare i numeri degli ascolti.

 

 

 

Spotify lo sa? Sì, ma è complicato per la piattaforma capire se gli ascolti siano reali o artificiali: un modo per farlo sarebbe quello di vedere se un artista passa nel giro di poco tempo da pochissimi a moltissimi ascolti, oppure se la maggior parte di questi si ferma a 31 secondi. Infatti Spotify registra solamente gli ascolti che abbiano raggiunto almeno 30 secondi, e molte fabbriche di bot sono programmate per ascoltare una canzone solo per 31 secondi per poi passare a un’altra. Secondo alcuni manager musicali che sono intervenuti alle conferenze, Spotify non avrebbe fatto abbastanza in questi anni per contrastare il fenomeno, e non avrebbe investito nella tecnologia necessaria per intervenire in tempo e bloccare i bot. Nel 2018 Spotify aveva detto di essere a conoscenza del problema, ma di non poter intervenire in alcuni casi per rimuovere gli utenti falsi a causa di limitazioni nella capacità di identificare i loro account. Riuscirà a trovare il modo di intervenire e porre fine a tutto questo?

Di fatto Spotify è il servizio di streaming leader nel mondo e non contrastando questi giochetti autorizza una vera e propria truffa dell’industria musicale a livello mondiale.

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