Due chiacchiere con Highsnob: Yin, la costanza e l’amore per la musica

Yin rappresenta oscurità, passato, confusione, terra, demoni, luna, notte, passivo, freddo, negativo, nord, acqua e sfortuna, ma solo a livello sentimentale non di sound. Yin rappresenta per Highsnob la necessità di togliersi di dosso i mostri che lo hanno accompagnato nell’ultimo anno, come una valvola di sfogo, per poi avere la mente libera e potersi dedicare a Yang. Lo Yin infatti rappresenta per il taoismo la “parte in ombra della collina”, una parte scura, malinconica ma non necesseriamente triste ed è per Mike il concetto chiave del progetto: lo yin non esclude del tutto la parte al sole (yang), esse sono complementari, una non può esistere senza l’altra e nell’insieme ciclico che le rappresenta le fasi si alternano.

 

 

Qual è stata la risposta del tuo pubblico a Yin?

 

“Non ho mai ricevuto così tanti messaggi positivi su un progetto. Vuoi perché questo mio nuovo modo di vivere la musica ha contribuito a scremare un po’ i fan della domenica, e devo dire che i miei fan l’hanno apprezzato molto, ma sanno anche che sono sempre stato aperto a ricevere critiche, però devo dire che questa volta ho ricevuto prevalentemente messaggi positivi e argomentati, che sono quelli che leggo più volentieri. Leggere “bravissimo, bellissimo” mi interessa fino a un certo punto, preferisco leggere “mi è piaciuto perché“, e anche dai loro messaggi ho capito che quello che volevo comunicare è stato recepito. Quindi il feedback è stato positivo, sono sicuro che sia un progetto che darà un riscontro maggiore nel lungo periodo. Yin, per essere compreso, avrà bisogno di Yang, che verrà ascoltato grazie a Yin, nel senso che Yin ha acceso la miccia e Yang avrà una risposta differente grazie alla quale verrà ascoltato anche Yin. Sapevo dall’inizio che sarebbe andata così, se no avrei dedicato tutto a Poison Ivy, avrei fatto uscire solo quel singolo e sarei andato avanti con tre o quattro singoli che mi servivano per lanciare il disco, ma non era quello che volevo fare”.

 

 

 

 

Yin è un progetto molto personale, si può dire che a differenza di Bipopular nessuna traccia è stata studiata per un fine preciso?

 

“Bipopular è un disco, ma al tempo stesso non è un disco, nel senso che è un disco da indipendente fatto da uno che pensava che fare un disco significasse registrare le proprie tracce e distribuirsele, ma non è così. Per creare il disco ho usato la stessa regola che usavo per i singoli: quello che pubblicavo mi serviva come test, acquisivo dati, vedevo la risposta del pubblico, poi decidevo se riproporre quel tipo di tematica o sound, o cambiare rotta. Bipopular racchiudeva il testare e capire e per me è più un prodotto utile a me che un album vero e proprio con tutte le caratteristiche che un album deve avere. Da Bipopular in poi c’è sicuramente una consapevolezza maggiore in tutto quello che faccio. Per quanto riguarda Yin, non ho studiato niente perché non avevo più niente da testare, conosco le cose che dico, che posso dire, che fanno parte di me, mentre in Bipopular ce n’erano alcune che avevano fatto parte di me, ma che in quel momento non ne facevano più parte, quindi non erano più così attuali. Qui invece quello che mi piace e che mi rappresenta oggi”.

 

 

Ci sono delle tracce che ti sei pentito di aver fatto?

 

“Pentito no, ma a volte ti si accollano delle tracce che non senti tue, io preferisco cantare Harley Quinn rispetto a Malandrino, per esempio, ma succede un po’ tutti. Chiunque di noi ha quella traccia che gli fa dire devo farla ancora non la sopporto più, invece ce ne sono altre che adori e anche se le fai mille volte sei sempre felice di farle perché le senti di più”.

 

 

 

 

Poison Ivy è il secondo capitolo di Harley Quinn?

 

“Non del tutto. Harley Quinn era dedicata a una persona che di base era una ragazza tranquilla che quando ha conosciuto il Jocker è impazzita. Quella storia è finita ed è arrivata un’altra persona, che ho identificato in Poison Ivy. Sono state l’una il seguito dell’altra e ho voluto dare anche un upgrade a livello di sound in modo che si capisse il filo conduttore che le lega, ma allo stesso tempo lasciarle una separata dall’altra”.

 

 

 

 

Oltre al disco, anche la tua discografia è Bipopular, perché passi da un pezzo come Harley Quinn a uno come Wannabe…

 

“Sono due facce della stessa medaglia, ma non mi trovo confuso, fanno parte di me perché sono bipolare. È una guerra mia interna, anche nel capire se fare un album completamente trap soul, o metterci anche il rappato, ma poi mi viene in automatico”.

 

 

 

 

Perché hai deciso di non annunciare Yin e non fare alcuna mossa di marketing?

 

“Di certo non per presunzione, mi sembrava la mossa giusta da fare. Non volevo bussare alla porta per dire che sarebbe uscito l’album. Prima o poi a qualcuno sarebbe capitato di ascoltarlo, magari gli sarebbe piaciuto e l’avrebbe suggerito a un amico. Se vuoi lo ascolti anche senza che io venga a bussare alla tua porta. Non mi sembrava il momento giusto per andare a rompere le scatole con una mossa di marketing inutile, non escludo che in futuro le farò, ma ora non serviva farle”.

 

 

Parlando di numeri, tu hai dei numeri altissimi, ma hai sempre fatto tutto da solo, come hai fatto?

 

“Perché sono reali, e a differenza di altri artisti, non avendo promozioni, etichetta o crew, ho sempre dovuto curare tutto da solo anche parti che la maggior parte dei miei colleghi non guarda proprio. Per me è stata una lotta continua, ho dovuto coltivare il mio pubblico, rispondere alle persone, creare video in continuazione e tutto questo ha portato pochissimo ma sempre. Quel poco e sempre era reale e si è consolidato, non essendoci fuffa, quello che esce conquista una persona e questo fa sì che arrivi gente nuova e siccome è genuina, la gente che ha apprezzato 23 Coltellate, la ritrovo anche nei pezzi successivi e di conseguenza aumenta. Non fai il botto, ma aumenta tutto con costanza, io ho dei brani che a distanza di anni mi fanno gli stessi numeri e non sono mai entrati in nessuna playlist, è solo grazie alla canzone in sé. Sicuramente la passione verso la musica è stata fondamentale. Inizialmente pensavo di dover fare solo le canzoni, poi ho capito che c’è da fare molto altro, quando faccio un singolo sono al 30% del lavoro da fare affinché diventi una canzone che effettivamente gira. È dura, però sono contento”.

 

 

 

 

Come nasce il tuo processo creativo?

 

“Se dovessi scrivere un libro partirei dalla copertina, lo stesso vale per le canzoni. Sono sempre partito prima dal titolo e dal concept e poi lavoro alle tracce. Io creo una linea melodica, poi scrivo le parole, e poi vado in uno studio e faccio sì che il beatmaker si appoggi a quella linea melodica. La Miglior Vendetta è nata così, avevo una frase che mi sono segnato: mi dici diamo a Cesare quel che è di Cesare mentre mi stai accoltellando al petto e da lì ho costruito il pezzo. Io mi segno tutte le citazioni che sento, anche dei film, certo non è sempre così semplice come con 23 Coltellate, ma sono felice perché sto facendo una cosa che mi rende felice, ho un processo creativo diverso, sto iniziando a suonare diversi strumenti, faccio meno fatica e creo roba in continuazione”.

 

 

 

Perché usi l’autotune? Non ne hai bisogno…

 

“Io sono sicuro che se avessi fatto 23 Coltellate senza, sarebbe stata figa, ma sarebbe sembrata più indie e non voglio quel tipo di suono. Tante volte la pitch correction, che è un elemento dell’autotune, dà una mano a dare una freshata, che nella fonetica americana serve di meno perché le parole tagliate hanno un suono diverso, che l’italiano non ha. Per far suonare bene l’italiano a me serve l’autotune, spesso in studio mi dicono spacca così, sì ma se non ci metti la pitch correction ha quel qualcosa di troppo italiano che a me non piace. È proprio il suono delle parole che non mi piace, in Italia abbiamo un vocabolario perfetto, siamo i più forti in questo, e facciamo il triplo della fatica rispetto agli americani nello scrivere i testi. I miei pezzi nascono sempre senza, poi lo metto. Quando canto live, invece, serve perché, un Harley Quinn, per esempio, che canto sotto la doccia intonato, non mi verrà mai allo stesso modo dal vivo, perché magari prima ho cantato Fa Volare dove ho saltato per 3 minuti e mezzo, poi i settaggi dei club non sono adatti. Ormai è la mia quadra stilistica, 23 Coltellate non ha autotune ma mi hanno scritto sembri Fedez, ma io sono Highsnob non Fedez. Il problema sono proprio le parole italiane, perché una melodia trap soul in italiano non esce allo stesso modo senza autotune. L’autotune ti corregge ovviamente se sei intonato e ha la melodia, se no stoni comunque, io quello lo so fare, ma live non so gestire bene il diaframma e devo lavorare di più su questo. Poi a me piace, non è una cosa che mi serve per, lo uso proprio perché mi piace”.

 

 

 

 

Hai avuto la pazienza di crescere lentamente, è un tuo aspetto caratteriale, una cosa studiata o semplicemente è andata così?

 

“A livello caratteriale ho maturato un self control pazzesco, prima di fare qualcosa di estremo deve essere proprio un caso di vita o di morte, sono molto focous e non mi faccio prendere dal panico. Avendo iniziato il percorso solista a 29 anni sapevo che sarebbe stata una sfida enorme e già è stato un traguardo farmi un nome arrivando da un progetto fallimentare dove venivo visto come quello più svantaggiato. Sono partito da perdente, ci ho sofferto molto, ma oggi mi faccio un elogio da solo. Speravo in una botta che mi portasse nell’olimpo, ma c’è un detto che dice che i cavalli buoni si vedono sulla lunga distanza, e ho capito che dovevo tirarmi su le maniche e lottare ogni volta. Ora ho imparato a non disperarmi, a fare, mettere un tassello in più e dare il massimo sul prodotto, perché è la musica che resta. Fare tanto, in silenzio, testa bassa e lavorare sempre e lo faccio volentieri perché non mi pesa. Devo solo lavorare e fare musica che rimanga”.

 

 

Hai mai pensato di mollare?

 

“No, ho avuto momenti tristi, ma aiutati che Dio ti aiuta, una mano dal cielo arriva sempre, nel mio caso sempre negativa, che poi ho trasformato in positiva. Io magari non ho le palle per andare sulle montagne russe, ma per le cose vere ce le ho. Tatuarmi il nome in faccia per la vita, non l’ho fatto perché sono pazzo, ma perché ero convinto che ce l’avrei fatta e non ho fatto neanche il 10% di quello che devo fare. So tutto quello che farò”.

 

 

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