Perché Fred De Palma fa reggaeton?

Ce lo siamo chiesti tutti, chi più chi meno, almeno una volta. UEBE, il suo ultimo disco uscito venerdì è sicuramente una risposta a questa domanda. È il momento della carriera di Fred De Palma in cui ha smesso di sperimentare e si è concentrato su quello che sente maggiormente suo e lo rappresenta al meglio come persona e come artista. Il reggaeton è un suono e in UEBE ne troviamo diverse sfumature, ma l’anima di Fred De Palma, la sua capacità di scrivere, fare rime, barre, punchline è rimasta invariata, ha semplicemente trovato un nuovo tappeto sonoro su cui appoggiarsi, ha creato un qualcosa di suo al quale ha dato anche un nome: UEBE (baby).

 

UEBE è una parola inventata da me per descrivere quello che è il nuovo viaggio del disco, che è molto latineggiante e reggaeton. In Italia fino a questo momento è stato un genere poco visto e molto relegato al periodo estivo. Quello che vorrei fare io è portarlo ad essere un genere a tutti gli effetti, così come lo è nel resto del mondo e mi sembrava figo dargli un titolo inventato proprio perché è una cosa nuova”.

 

 

Il reggaeton è da un po’ che lo stai sviluppando, non è una novità per te…

 

“Sì, però è una novità per il pubblico, perché un genere inizia a funzionare nel momento in cui le persone lo conoscono come tale. Il primo pezzo reggaeton l’ho fatto nel 2017, Adios, e mi ricordo che ai tempi era stato preso in maniera strana, perché comunque io seguivo già il genere, seguivo già J Balvin, Ozuna, e quel mondo, però il resto dei miei colleghi non aveva idea di che cosa fosse quel mondo e quindi pensavano che il reggaeton fosse la solita canzoncina estiva. Al tempo mi avevano detto il reggaeton è figo, ma non puoi farlo. Io avevo intuito che questo genere aveva un potenziale enorme e poi si è visto che J Balvin, Ozuna sono riusciti a globalizzarlo e a renderlo interessante anche per chi ascoltava altro, e sono riusciti a farlo perché mettevano contenuti all’interno di questo sound e di pari passo anch’io ho cercato di fare lo stesso. Credo che UEBE sia un po’ il manifesto di questo mio cambiamento”.

 

 

 

 

Già con Hanglover mi avevi detto “io voglio fare la musica che piace a me”, questo genere è quello che senti che ti appartiene maggiormente?

 

“Hanglover è stato un disco di transizione, all’interno ci sono diversi capitoli, iniziavo ad avvicinarmi a un suono più latin, anche se c’erano episodi più afrotrap e rap. Credo che sia stato il momento in cui ho capito che la coerenza era più importante dello spaziare troppo. Nel corso degli anni mi sono creato un bacino di utenza molto frammentario, ed essendomi appassionato molto al reggaeton, ho capito che era il modo migliore per uscire da questa frammentazione e dare qualcosa di coerente in cui la gente ci si possa riconoscere al 100% e che esprima me al 100%. Non so se tra 10 anni farò ancora reggaeton, ma sicuramente è un qualcosa che sento molto mio”.

 

 

Cosa pensi di chi non apprezza questo genere musicale e lo denigra?

 

“Io ho vissuto tanti periodi musicali in Italia e credo che non ci fosse quella denigrazione non ci sarebbe neanche il successo che ne deriva. È stato così anche all’inizio del rap, poi della trap e credo che il reggaeton avrà un’evoluzione simile, non so se diventerà una moda, ma la base di partenza è la stessa. Poi quando si parla di reggaeton si parla di sound, perché restano le rime, i concetti, le punchline che facevo prima ci sono anche in questo disco, è solamente trasportare quello che era in una cosa fresca e nuova”.

 

 

Ti aspettavi il successo di Una volta ancora dopo quello di D’estate non vale?

 

“D’estate non vale era una provocazione, l’italiano è talmente abituato a sentire la hit reggaeton estiva, che se la fai d’estate non vale. Quest’estate abbiamo cercato di fare qualcosa di diverso, che avesse maggiore spessore a livello musicale, che fosse anche nostalgico e non del tutto estivo. Il ritornello è molto lungo, con tante parole, tante immagini e non è prettamente la formula per fare la hit estiva, però l’ho fatta perché secondo me il pubblico è un po’ saturo di sentire il tormentone con la stessa parola che si ripete, funziona ancora e funzionerà sempre, però se riesci a unire la profondità con la frivolezza è la formula che funziona. Anche il fatto di averci messo strofe rappate e ben incastrate ha fatto sì che riuscisse ad arrivare a molte più persone, così come l’effetto bachata misto al reggaeton è stato un rischio ma è stato ripagato perché è piaciuto”.

 

 

 

 

In UEBE affronti l’amore, ma con diverse sfaccettature e in passato ti sei definito il Love King, cos’è per te l’amore?

 

“Parlo anche di sesso in Fatti così, che è il pezzo più strong, mentre Il tuo profumo è sicuramente il pezzo più love e poetico, che poi è una cosa che ho sempre portato avanti negli anni, anche se qui l’ho fatto in una versione più latina. La definizione di Love King nasce dal fatto che per un periodo della mia carriera ho fatto prevalentemente pezzi d’amore. Se mi chiedi cos’è, credo che sia una scoperta, nel senso che è una cosa che non sai cos’è finché non la vivi e finché non l’hai vissuta, magari non era quello che pensavi. È una scoperta che fa parte anche del mio viaggio musicale, scoprire qualcosa che magari gli altri non hanno ancora provato”.

 

 

Com’è nata la scelta dei featuring?

 

“Ho scelto artisti che credo siano i più coerenti in questo viaggio e in questo sound. Boro Boro è uscito con un pezzo reggaeton che ha scalato le classifiche, Emis Killa è da tempo che bazzica un po’ nel sound latino con Linda, Rollercoaster, Tijuana, e, oltre ad essere uno dei miei più cari amici, mi sembrava coerente metterlo all’interno di questo disco perché avrebbe rispecchiato l’identità che andavo a raccontare. Sofia Reyes è un artista reggaeton mondiale ed è stato un piacere che abbia accettato di collaborare con me. Shade invece è l’anello di congiunzione tra quello che facevo prima e quello che faccio adesso, perché il pezzo con lui è il meno reggaeton e il più rappato del disco. Mi sembrava giusto metterlo, sia perché siamo molto amici, sia perché è un brano molto vero, parla di quando noi due andiamo in giro e volevo ci fosse qualcosa che restasse attaccato al passato”.

 

 

Quale traccia di UEBE ti rappresenta maggiormente?

 

“È la prima volta che mi rappresenta tutto il disco, perché ci sono tanti stati d’animo e tanti pezzi che mi ricordano tante cose. Sicuramente uno di quelli a cui sono forse più legato è UEBE, perché mi è piaciuto mettere dentro Boro Boro che è di Torino come me e ha fatto successo con un pezzo reggaeton, credo che questa energia potrebbe essere l’inizio di qualcosa”.

 

 

Cosa rispondi a chi ti chiede quando la smetti con il reggaeton e ritorni a fare rap?

 

“Non posso ritornare ad avere 16 anni, è una crescita e una maturazione artistica. Credo che sicuramente mi capiterà di fare una strofa rap, anche se non ne ho tutta sta voglia, cosa che farei in 5 secondi, ma non mi rappresenterebbe, sarebbe fare un favore a qualcuno, non io che non vedo l’ora di farla. Credo che rap, reggaeton, rock, qualsiasi cosa sia non è importante, è importante quello che provi ascoltando la musica che stai ascoltando. È musica e se ti arriva vuol dire che chi l’ha scritta ha vinto, se non ti arriva vuol dire che chi l’ha scritta ha perso“.

 

 

Quanto ti piace ancora fare freestyle?

 

“Tantissimo, lo faccio sempre, è un gioco, un momento in cui sei con un tuo amico e vi insultate per ridere. Questa cosa non morirà mai nei miei interessi perché mi piace farla, mi hanno anche detto potevi continuare a fare freestyle, però vorrei rispondere che con il freestyle fai ben poco, devi prenderlo come un gioco, e credo che tutti lo prendano come un gioco, non credo che ci sia qualcuno che vive facendo freestyle, sarebbe assurdo”.

 

Cosa ti aspetti da questo disco?

 

“Che la gente capisca che c’è un’alternativa a quello che stanno ascoltando, che ascoltandolo possa dire ah questo è Fred De Palma, questo è quello che spero. E ovviamente che tanta gente lo dica, così il disco ha anche successo, però prevalentemente vorrei che questo disco mi identificasse“.

 

 

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