Che differenza c’è tra la radio e Spotify?

Che differenza c’è tra una piattaforma di streaming e una radio nel 2019? In termini legali, economici e procedurali.

La radio è sempre stata oggetto di attacchi, più o meno velati, nel corso degli anni. Ogni tanto qualcuno si svegliava e accusava le emittenti di passare solo o principalmente determinati artisti e brani in rotazione. Chiunque di noi ha notato almeno una volta che, ascoltando un programma radiofonico, c’è quella canzone che viene messa più volte e tu pensi ancora?
Per molto tempo le radio hanno mantenuto un monopolio, alcuni artisti anche e soprattutto rap non venivano passati in radio, spesso si ricorreva alla censura radiofonica, un brano doveva essere modificato in alcune parti o dovevano essere cambiate alcune parole per poter essere consono alle radio e poter essere trasmesso. Oggi in alcune emittenti funziona ancora così. Molti artisti non vengono passati perché considerati non radiofonici.
Che differenza c’è quindi tra una radio e Spotify?

Poca. Entrambe si basano sulle playlist. Sono playlist quelle che le radio creano da sempre (ossia le scalette dei brani in rotazione) e sono playlist anche quelle che Spotify e gli altri colossi dello streaming producono per i propri ascoltatori. Entrambe le playlist sono decise da persone. Entrambe passano quello che vogliono passare, in base a gusti, accordi, la musica di fatto viene penalizzata. Non tutti i generi musicali hanno lo stesso spazio, così come non tutti gli artisti. Le playlist radiofoniche, ovvero le scalette, sono decise da chi lavora in radio, così come la rotazione radiofonica, gli orari, quante volte un brano deve passare. Per Spotify Italia decide l’editore, come ben sappiamo. Ma anche per gli utenti free, la rotazione dei brani non è casuale. C’è sempre qualcuno che ti suggerisce volutamente un brano. Le canzoni che compaiono a caso nelle nostre playlist personali e che siamo sicuri di non aver inserito non compaiono a caso ovviamente.

Spotify ha “dichiarato guerra” al mondo radiofonico, e sogna di diventare la radio del futuro e il confronto è sempre più acceso, nonostante la clamorosa disparità di trattamento. E qui c’è la vera grossa differenza che riguarda la tassazione.
Le radio italiane pagano un gigantesco ammontare di tasse, mentre Spotify risulterebbe aver pagato nel 2018 soltanto 69mila euro di imposte, a fronte dei circa 10 milioni di utenti (fonte Italia Oggi). Una sperequazione ingiusta ed evidente.

L’altra differenza sostanziale è l’influenza e l’impatto nella classifica Fimi. La radio non ha alcun impatto in quello, se non il fatto di portare alcuni utenti a streammare un brano perché ascoltato on air. Spotify dà al contrario una spinta pari al 40% a un brano in classifica Fimi. Il monopolio di cui spesso sono state accusate le radio, si sta quindi spostando da radio a piattaforme digitali?

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