Lussorio Piras: come si diventa direttore creativo

Essere un manager, un direttore creativo e artistico non è di certo una passeggiata. Sono molti i fattori che entrano in gioco in questo ruolo, ci vuole competenza, conoscenza, pazienza, la freddezza di saper prendere decisioni importanti anche in poco tempo. Si decide e si lavora sulla vita degli artisti, bisogna quindi essere consapevoli che da una decisione o una mossa dipende la carriera di un artista. Un ruolo che ricorda quello del padre di famiglia: educare, indirizzare, consigliare per il meglio, saper dire di no. Un ruolo che a Lussorio Piras calza a pennello.

Quando hai iniziato a fare questo lavoro?

“Quando ero ancora in accademia, studiavo per diventare ingegnere del suono e produttore, e già alla fine del primo anno ho avuto il primo artista, Samuel Heron”.

Hai sempre voluto fare questo lavoro o è capitato?

“Dipende quale lavoro mi si attribuisce, io volevo fare il produttore da quando avevo 13 anni. Per me la concezione di produttore è quella che si basa sul modello americano, quindi non stare solo in studio a fare i beat, ma ricopre anche il ruolo di direttore creativo, che consiste nel capire qual è la musica giusta e indirizzare i musicisti. Ed è quello che ho sempre fatto, anche mentre mi occupavo d’altro. Il mio lavoro di direttore artistico ha poi anche un’apertura sul management per necessità. Quindi, hai mai pensato di fare il manager? No. Lo farai per tanto? Non lo so, perché il management puro ha una serie di aspetti economici, legali e fiscali che sono noiosi e di questo lavoro vorrei tenere solo la parte di direzione creativa”.

I pro e i contro?

“I contro sono tanti. Lavoro 24 ore su 24, 7 giorni su 7, ho a che fare con un mestiere labile, si parla di musica, di arte, e tutto quello che è artistico non è mai continuativo. I pro sono che ho a che fare con qualcosa che esprime la mia passione”.

Quali sono le caratteristiche necessarie per fare il tuo lavoro?

La competenza sicuramente è alla base, così come la conoscenza dell’industria discografica. La pazienza, una buona dote di analisi, devi essere freddo nel prendere un certo tipo di decisioni, perché di fatto spesso dalle decisioni del management ne vanno le vite degli artisti. Hai fatto bene il tuo lavoro nel momento in cui prendi una decisione che magari l’artista non condivide in pieno, ma decide di appoggiarti perché si fida di te”.

Chi non è capace di fare questo lavoro?

“Chi è troppo attaccato ai soldi, perché c’è da investire tanto e spesso non torna tutto quello che hai investito. Chi non ha pazienza, chi non è cinico, il cinismo a volte serve, bisogna saper bilanciare l’essere cinici con l’essere buoni”.

Un pregio e un difetto di ognuno dei tuoi artisti

“La costante di tutti gli artisti è che si danno tutti da fare tanto e sono pronti a fare quello che serve per lo spettacolo e per la musica. Il difetto è sicuramente l’ansia, sono tutti ansiosi, ci tengono così tanto che vogliono che vada tutto bene“.

La tua canzone preferita di uno dei tuoi artisti?

“Oh Baby di G. bit mi piace tanto, poi ci sono altre canzoni di progetti più piccoli che non sono ancora usciti, che ascolto continuamente e mi piacciono molto”.

È meglio lavorare con un cantante o con uno Youtuber e qual è la differenza?

“Sono due mondi diversi, uno ha una progettualità più grande, hai a che fare con la musica che ha tanti elementi, l’altro invece ha una piattaforma in cui si sviluppano tutte le sue idee”.

Come sei arrivato a Mike Lennon?

“Me l’ha portato Renzo Stone, il suo produttore, io stavo cercando un artista orientale perché vedevo che c’era un buco nel mercato italiano che parlasse la lingua di entrambe le etnie. Mike aveva un Ep in italiano e altra musica in inglese e gli dissi: l’Ep è bello ma non funzionerà mai in Italia, dovresti provare a fare qualcosa che calchi quello che sei, occhi a mandorla, orientale e mi rispose un po’ stizzito che non aveva intenzione di farlo. Poi la notte stessa mi ha mandato KonicHiwa e da lì è partito tutto e sta diventando quello che avevo immaginato”.

C’è un artista che avresti voluto gestire tu?

“Trovo molto interessante Ghali, io in lui vedo quello che serve a un artista. Fare bene musica è la prerogativa ovviamente e da lì si parte, ma un artista è quello che può stare in un angolo e la gente si accorge che è un artista. Deve spendersi bene a livello di immagine, di vita e lui si presta molto, forse fin troppo. E poi con artisti più grandi, come Salmo, dai quali puoi prendere più che dare“.

Come hai strutturato il percorso di G. bit per arrivare a TILT?

“Serve la costruzione di un percorso artistico che deve partire da zero e fare tutti gli scalini. Il momento zero è essenziale perché devi capire cosa vuole l’artista e G. bit ha sempre avuto la prerogativa di essere un pelo avanti. Abbiamo fatto singolo per singolo, abbiamo visto come andava, ma sempre con un accenno al suo essere innovatore. Quando ti approcci in discoteca con una fai vedere di te un lato, poi tra voi nasce una relazione, che si sviluppa in qualcosa e l’altra persona conosce altri lati di te e il percorso di G. bit fino adesso è stato il conoscersi in discoteca. TILT segna l’inizio della frequentazione dove mostra altri lati di sé”.

Com’è nata invece l’idea di fare il concerto di Livio Cori il giorno stesso di quello di Liberato?

“Io sono subentrato post Sanremo, cercavo un progetto napoletano e nei nostri primi discorsi gli chiesi subito qual era il suo rapporto con Liberato. Lui mi aveva espresso il fatto che tutto quello che aveva fatto fino a quel momento era stato messo in ombra perché il gossip aveva posto il nome di Liberato davanti al suo. Lui voleva togliersi questa etichetta e al primo concerto di Liberato a Roma, il 22 giugno, abbiamo organizzato un concerto di Livio Cori a Napoli nel suo quartiere“.

Liberato l’ha più aiutato o danneggiato?

“In un primissimo momento può averlo aiutato, perché quando il tuo nome viene associato a qualcosa di grande inevitabilmente gira, ma, avendo lui lavorato tanto, lo ha danneggiato. Nel momento in cui Livio Cori ha lavorato molto, Liberato è rimasto fermo, ma era comunque sulla cresta dell’onda perché Livio Cori stava facendo qualcosa”.

Il momento in cui ti sei sentito fiero del tuo lavoro?

“Ti dico l’ultimo, al Nameless, quando Mike e G. bit sono saliti sul palco. Vederli uno dietro l’altro che si spalleggiavano, con il pubblico rispondeva in quel modo su progetti non semplicissimi mi ha fatto piacere. Poi ce ne sono tantissimi altri, dai progetti di Luis Sal, ad artisti passati, ai miei autori che scrivono per grandissimi nomi”.

Come si fa a diventare un artista?

“Io agli artisti nuovi dico sempre: cercate di fare spettacolo. Tutti vogliono diventare famosi, ma nessuno è disposto a lavorare davvero. Se penso a David Bowie, Frank Sinatra, Marlyn Manson, Madonna, tutti quanti sul palco erano artisti e davano spettacolo. Oggi li vedi saltellare sul palco da una parte all’altra e basta, le scenografie sono tutte uguali e nessuno fa realmespettacolo. Achille Lauro è l’esempio che porto quando parlo di questo argomento, può piacerti o meno ma i suoi spettacoli sono belli, altri rapper invece fanno solo la 200 metri sul palco senza portare nulla ed è noioso”.

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