I Club Dogo non sono morti, vivono in altre forme

Nonostante sia difficilissimo vedere un loro ritorno, nonostante continuino a farci compagnia e ad accompagnare le nostre vite con le loro canzoni, i Club Dogo non sono morti, non è mai finito il loro tempo e mai finirà. Sono molti gli artisti della scena attuale che sono figli dei Club Dogo, che sono figli di quel Gué Pequeno dei Dogo, delle produzioni di Don Joe, delle rime di Jake La Furia, dell’ignoranza mista a strafottenza e verità nuda e cruda tipica delle loro canzoni. Ho visto questa foto pubblicata da Vegas Jones che ritrae Don Joe e Jake La Furia che hanno lavorato con lui alla traccia Tocca a me e ho pensato che i Dogo sono ancora vivi, hanno solo una formazione diversa, ma la loro storia, la loro anima, la loro scuola continua ad essere in una versione 3.0 e completamente rivisitata.

 

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Poi ho pensato a Sfera Ebbasta che per certi versi può essere considerato figlio di Gué Pequeno e alle parole scritte da quest’ultimo nei suoi confronti “mi fa pensare parecchio che le liriche del suo album siano una versione updatata e trappata di molti miei capisaldi, argomenti filosofici come comprare tutto il bar, avvisare la tipa che è meglio che non si innamori di noi, la piazza, il player, lo Xanax ecc. Sfera ha talento anche se si ispira fin troppo, e uso un eufemismo, a certi rapper americani. Se adesso puoi fare un disco in cui parli di certe cose è perché prima l’ho fatto io. Mi davano del coglione quando parlavo di money, cash, ora lo fanno tutti. Sono stato un precursore, per le liriche e per il sound. L’aereo privato, le vacanze a Dubai, sono stato il primo a fare ste papponate, ma dovevo allargare andando oltre la musica. Il rap non pagava, le discografiche non ti riempivano di soldi, perché le hit vere erano un’altra cosa. Dovevi fare il feat. con la Pausini per forza, adesso puoi dire sono pieno di soldi e fare disco di platino, ma prova a offrire adesso a un ragazzino quello che davi a noi, ti manda a cagare. Con i Dogo abbiamo fatto un lavoro incredibile, eravamo davvero avanti rispetto agli altri, mettevamo i groove reggaeton prima ancora che li usassero i puzzoni delle hit estive“.

E infine ho pensato alla Dark Polo Gang. Sì, proprio a loro, al loro fare spocchioso, tammarro e sopra le righe, al loro esibire gioielli, al loro essere provocatori, non sono tutte caratteristiche dei Club Dogo? Erano altri tempi, ok, erano altri modi, altre rime, altre attitudini, ma i Dogo hanno portato i tamarri nel rap, loro hanno portato quella sfrontatezza e quel creare un nuovo vocabolario che oggi rivive in un certo senso nella Dark Polo Gang. I Club Dogo hanno scritto dischi e canzoni, quelle stesse canzoni che noi amiamo, in 15 giorni, strafatti, salivano sul palco e spesso e volentieri erano tutto tranne che lucidi, tutte caratteristiche che oggi rivediamo nella DPG. Possiamo fingere di non vederle, possiamo discernere le due cose, attaccarci al rap e alle rime, ma non sono poi così diverse. Trap Lovers è il primo disco fatto e curato nei minimi dettagli dalla Dark Polo Gang, perché prima usavano lo stesso approccio usato dai primi Dogo, eppure bufu è entrato nel vocabolario di tutti, così come bella zio, che differenza c’è?

I Club Dogo non sono morti, solo vivono in altre forme.

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