Lo stile prima di tutto, anche prima del rap

You dress better, I rap better

Ha detto Eminem a MGK e questo riassume tutto, è quello che fa la differenza tra la vecchia e la nuova scena americana e italiana.

Drefgold e Capo Plaza con 30 gradi all’ombra si fanno immortalare con l’ultimo modello di Moncler, niente di male, a parte il caldo e il sudore, ma se bello vuoi apparire, un po’ devi soffrire. Lo stile prima di tutto. Ma la mia è solo invidia perché ieri ho provato un cappotto in un negozio e l’ho tolto in fretta e furia perché stavo sudando come un lama, ma io sono umama, loro evidentemente vivono in un universo parallelo.

Lo stile prima di tutto dicevo, sicuramente prima delle rime, perché chiuderne una per entrambi è la cosa più difficile al mondo. Voglio però spezzare una lancia in favore di Capo Plaza, in Trap Phone ha scritto una strofa decente, ha rappato finalmente, c’è ancora troppo autotune ma nel complesso mi è piaciuto. Ma torniamo al punto, se lo stile è più importante del saper far musica e del fare musica figa, con lo stile si influenzano intere generazioni. Inutile dire fesserie è così da sempre e così è sempre stato il rap da quando i Run DMC hanno messo le adidas a un loro concerto e hanno invitato il loro pubblico ad alzare tutte le adidas a cielo. E non era promo. Adidas all’epoca era un brand sfigato e soprattutto non hip hop. Da quel momento in poi rap e moda o streetwear si sono uniti inesorabilmente. Non si tratta solo di marchette, o meglio, non sono sempre tutte marchette, le marchette sono quelle che fa Dolly Noire regalando i propri prodotti a tutta la scena indistintamente e poi va a finire che se compri Dolly Noire sei uno sfigato. Le marchette sono quando ti regalano qualcosa e devi farti la foto taggando il brand o fare un’intervista per il brand elogiandolo, ma ci sono capi non brandizzati che sono diventati comunque uno status symbol. L’ultimo,  in ordine di tempo, è il borsello.

Cento pezzi da cento nel mio borsello, con la mia tipa a letto tengo il borsello. In centro tutto Kenzo col mio borsello, ci starebbe anche un ferro nel mio borsello

Al di là del pezzo in sé, che è il punto più basso delle liriche di Gué Pequeno, il borsello è il nuovo status symbol. I ragazzi vanno davvero in giro con il borsello, lo fanno da tempo, è un accessorio indispensabile, non importa che sia di Gucci, Louis Vuitton, Prada o Zara, l’importante è averlo e esibirlo. Di fatto Gué, Sfera e Drefgold hanno reso omaggio a un accessorio transgenerazionale. Il punto è che tutti i ragazzini che oggi si sentono fighi a indossare il borsello e a cantare Borsello, tra 5/10 anni saranno grandi e si vergogneranno non solo di quello che hanno indossato, ma anche di quello che hanno cantato. È così. Provate a guardare una vostra foto di 5 anni fa, ma anche di più, non vi sembrate ridicoli? Non pensate ma come cazzo mi vestivo? Lo stesso vale per certa musica, se prendete un vecchio Ipod e ci trovate dentro i Lunapop per dire, non pensate ma che musica ascoltavo?

Questo vale per tutti. Il Borsello farà di fatto vergognare molti di quei ragazzi che oggi lo indossano e lo cantano fieri, perché per quanto possa essere un accessorio cool oggi, non è detto che lo sarà domani, o che lo sarà ancora per noi domani, e la musica resta uno spaccato di oggi che non è in grado di avere con sé lo spessore dell’eternità.

 

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