L’assassino di Tupac ha finalmente un nome?

Ci sono voluti 22 anni per arrivare a un possibile nome responsabile dell’omicidio di Tupac avvenuto il 13 settembre 1996. Complice la docu serie  andata in onda su Netflix, Unsolved: the Tupac and Biggie Murders, basata su documenti della polizia di Los Angeles e su interviste inedite.

Nelle ultime ore, una dichiarazione diffusa nella docu serie potrebbe aver messo definitivamente la parola fine sulla vicenda. La rivelazione, che tra ieri e oggi è stata rilanciata dai giornali di tutto il mondo, è arrivata direttamente dalla voce di Duane Keith Davis, ex membro di una gang, conosciuto anche con lo pseudonimo di Keffe D, lo zio di Orlando ‘Baby Lane’ Anderson, il ragazzo, deceduto nel ’98 e da sempre considerato come il sospettato numero uno per la morte di Tupac.

Stando a quanto raccontato da Davis Anderson, che all’epoca aveva soltanto 22 anni, avrebbe deciso di uccidere Tupac per vendicarsi di alcuni colpi che quest’ultimo gli aveva rifilato poche ore prima in una baruffa. L’astio di Tupac nei confronti di Anderson era dovuto ad un furto che il giovane aveva commesso ai danni di un amico e collaboratore di Shakur, al quale aveva sottratto un medaglione.

Davis ha raccontato il momento dell’omicidio, spiegando di essere stato presente nel momento esatto in cui vennero esplosi i colpi, all’interno dell’autovettura, assieme ad altre 3 persone. Stando a quanto dichiarato dallo zio di Anderson, quest’ultimo era seduto sul retro, lato passeggero e avrebbe sparato da lì, in maniera quasi inaspettata, mentre uno dei presenti gli suggeriva di non farlo. Oltre a Davis e Anderson, erano presenti anche DeAndre ‘Dre’ Smith e Terrence ‘T-Brown’ Brown, che era alla guida della vettura.

Le dichiarazioni di Duane Keith Davis con ogni probabilità avranno delle conseguenze legali, il produttore esecutivo della serie ha infatti invitato le autorità ad approfondire la situazione, interrogando l’uomo in maniera più dettagliata.

Ma perché parlare adesso e in una docu serie?

Davis ha deciso di parlare solo perché é  gravemente malato e non ha più nulla da perdere

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