Tidal sotto accusa

Secondo quanto riportato da Il Post, il servizio di streaming Tidal che fa capo a Jay-Z è sotto accusa per aver gonfiato i numeri sui dischi di Beyoncè e Kanye West.

Un’inchiesta del quotidiano finanziario norvegese Dagens Næringsliv ha ipotizzato che il servizio di streaming musicale Tidal, di proprietà del rapper americano Jay-Z, abbia gonfiato i dati riguardo al numero delle riproduzioni di canzoni sulla propria piattaforma. In particolare si parla di quelli che probabilmente sono i due dischi più importanti che il servizio ha pubblicato in esclusiva: Lemonade di Beyoncé (che è la moglie di Jay-Z), e The Life of Pablo di Kanye West (che, almeno fino a qualche tempo fa, era molto amico di Jay-Z). Supposizioni simili erano già state fatte in passato, ma la novità è l’accusa di aver calcolato le royalties, cioè i soldi derivanti dal diritto d’autore, sulla base dei numeri gonfiati, favorendo Beyoncé e West a discapito degli altri artisti.

Negli anni il servizio ha puntato molto sulle esclusive dei dischi: tra questi i principali sono stati proprio Lemonade, tuttora non disponibile sulle altre piattaforme di streaming e The Life of Pablo che invece dopo qualche settimana arrivò anche altrove, ma non è mai arrivato neanche lontanamente ai numeri di Spotify e Apple Music, i due più grandi servizi di streaming al mondo, che hanno rispettivamente circa 71 e 38 milioni di utenti.

Non si sa quanta gente usi Tidal: nel 2016 dichiarò di avere 3 milioni di utenti, ma indagini indipendenti e fonti vicine all’azienda dicono che il numero è più vicino a un milione. In ogni caso, dopo l’uscita di Lemonade nell’aprile del 2016 Tidal disse che nei primi 15 giorni il disco era stato riprodotto in streaming 306 milioni di volte: cioè, anche basandosi sui dati ufficiali, circa sette volte al giorno da ogni utente. Per The Life of Pablo, la cifra riportata da Tidal era di 250 milioni di riproduzioni in 10 giorni: cioè più di otto volte per utente.

Erano evidentemente numeri inverosimili e una prima indagine di DN, confermata dalla società di ricerche sull’industria discografica Midia, aveva suggerito che Tidal avesse gonfiato i numeri. Ora però DN dice di avere ottenuto un hard disk contenente “miliardi” di dati riservati sulla società, che coincidono con quelli – non pubblici – condivisi da Tidal con le etichette discografiche.

Questi dati comprendono i codici identificativi dei singoli utenti, associati ai loro ascoltiDN ha allora contattato direttamente alcuni di questi utenti, chiedendo conferma delle riproduzioni musicali registrate a loro nome. Per confermare i dati ottenuti, DN ha chiesto aiuto al Centro per la Sicurezza Informatica dell’Università Norvegese di Scienza e Tecnologia, che ha analizzato l’hard disk concludendo che ci sono state delle manipolazioni sui dati relativi agli streaming dei due album.

DN dice di avere ottenuto i dati sui pagamenti effettuati da Tidal alle etichette discografiche che detengono le royalties di Lemonade e The Life of Pablo. Nel primo caso si tratta di Sony, che tra aprile e maggio 2016 ricevette da Tidal 4 milioni di dollari: di questi, 2,5 milioni arrivavano da Lemonade. Per The Life of Pablo invece si parla di Universal, che tra febbraio e marzo 2016 ricevette 3,3 milioni: di questi, circa 2 milioni arrivavano dal disco di West.

Tidal ha negato categoricamente di aver gonfiato i numeri delle riproduzioni o di avere imbrogliato sul pagamento delle royalties.

 

 

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