14 anni di ‘Mondo Marcio’. La persona oltre l’artista

A maggio del 2004 usciva ‘Mondo Marcio’, il primo album di Mondo Marcio. Nel disco il giovane Marcio racconta la dura vita tra le periferie della Città Del Fumo, soprannome dato da Marcio a Milano. Vi sono inoltre periodici accenni alla separazione dei genitori da cui traspare il rancore verso il padre ed il profondo legame con la madre.

E’ un afosissimo sabato pomeriggio di fine luglio quando raggiungo Mondo Marcio in zona Niguarda a Milano, nella quale vive da ormai 10 anni. Lui arriva puntualissimo, mi fa salire sulla sua macchina, con la quale mi porta in giro nella sua zona, mi fa vedere dove aveva il vecchio studio di registrazione e mi parla della sua vita, della sua musica e dei suoi progetti futuri. Per tutto il tempo nella mia testa riecheggiavano le parole di “Tieni duro”, da sempre una delle mie canzoni preferite e devo ammettere che è stato molto interessante e formativo potermi confrontare con artista del suo calibro. A Mondo Marcio, insieme a Fabri Fibra e successivamente Club Dogo e Marracash, va sicuramente il grande merito di aver sdoganato il rap in Italia e di averlo portato al livello in cui è ora. Il contributo dato da lui e dai suoi colleghi sopra citati a questo genere musicale nel nostro paese è innegabile e quando si nomina Mondo Marcio, per me si nomina il Rap italiano.

Ecco, mi trovavo in macchina con il Rap italiano, con un’artista fortissimo, con una grande storia alle spalle, con uno dei maggiori esponenti di questo genere musicale in Italia, ma al tempo stesso, mi trovavo in macchina con un ragazzo, con solo un uomo.

Di Mondo Marcio e del suo background sappiamo tutto, dal divorzio dei suoi genitori, alla sua adolescenza, ci ha raccontato tutto lui nei suoi dischi e nei suoi testi che sono estremamente autobiografici e che negli anni ci hanno catapultato nella sua vita e nel suo immaginario.

Quanto ha influenzato la zona, il quartiere, le tue canzoni?

“Tanto, perché comunque gli artisti, in generale, sono un po’ delle spugne, nel senso che assorbono tutto quello che li circonda in un modo o nell’altro. Dalle facce che vedo, dai dialoghi che sento la mattina quando vado a far colazione, a comprare i sigari, o dai dialoghi della gente che incontro per strada, assorbo un po’ della loro energia e delle loro storie”.

Nelle tue canzoni però c’è tanto di te, oltre alle storie degli altri

“Sì nelle mie canzoni c’è tanto di me, le mie canzoni sono pesantemente autobiografiche e sono tanto orgoglioso di questa cosa, senza menarmela, perché non c’è un cazzo di cui menarsela, però sono contento che la mia musica sia così, è un po’ una specie di documentario. Il periodo in cui ho viaggiato di più e penso sia una cosa che mi è rimasta anche nel carattere, il bisogno di stare costantemente in movimento, nel bene e nel male, è iniziato a 9 anni perché, come ti dicevo, purtroppo ho avuto la sfortuna di avere l’affidamento al Comune, che significa che quando i tuoi non si mettono d’accordo, come purtroppo è stato nel mio caso, non sei affidato a nessuno dei due, tolgono la patria potestà ai tuoi e ti affidano al Comune. Quindi, morale della favola, ogni giorno ero in macchina da una casa all’altra, quindi lì, secondo me, mi è nato un po’ questo bisogno di spostarmi. Uscivo da scuola e andavo fuori Milano, poi tornavo a Milano, eccetera, eccetera, così per 3 anni, poi sono andato fuori Milano definitivamente. Però penso che lì mi sia venuta questa abitudine a stare un po’ in questo moto perpetuo, che però mi ha aiutato, perché sai, il fatto di girare sempre, di non avere quel tuo domicilio permanente, comunque ti tiene la testa in movimento e quindi devo dire che anche questa cosa potenzialmente negativa, l’ho fatta diventare positiva”.

Com’è nata Tieni Duro? Che resta una delle mie canzoni preferite dell’hip-hop italiano in generale

“Ah grande! Tieni Duro è nata da un beat di Bassi Maestro, stavamo lavorando insieme in studio, lui mi aveva notato alle prime serate a cui andavo a esibirmi, che erano le sue serate, quelle dello Show Off, dove tra l’altro c’era Hano lì e avevo beccato Carlito per la prima volta, o meglio questo pazzo con la maschera, a quelle serate, Bassi mi aveva notato e ho iniziato ad andare in studio da lui, sentire cose nuove, fare, lavorare, disfare. Un giorno mi fa sentire questo beat e mi ha detto ‘vai questo l’ho prodotto apposta per te, so che sgancerai la bomba’, io sono andato a casa e il giorno dopo avevo tutte e tre le strofe pronte e così è nata “Tieni Duro”.

Avevo 16 anni quando ho scritto quella canzone, figurati, ero al crocevia di tutte le decisioni da prendere. Il rap non era neanche un discorso che fosse ‘ok lo faccio come lavoro’, il punto non era se io potessi sfondare, era se il rap poteva essere qualcosa che funzionava in Italia, perché in quegli anni non c’era nessun precedente. C’erano gli Articolo, i Sottotono, ma era successo 10 anni prima, quindi quasi non facevano neanche testo, poi erano dei gruppi, delle band, era proprio un’altra cosa. Era tutto un punto di domanda, non sapevi dove sbattere la testa e l’unica cosa che potevo fare era o gettare la spugna, o tenere duro, quindi me lo dicevo da solo. E questo è stato poi un messaggio che ha potuto risuonare anche per altre persone perché è un messaggio abbastanza universale quello di tenere duro”.

Quindi all’inizio il rap è stato un salto nel vuoto?

“Sìsì, era una follia. Adesso fare il rap è come fare il fashion blogger, nel senso che lo fanno tutti, è un’opportunità di lavoro, è diventato qualcosa che saresti stupido a non provare a fare. Devi provare a fare rap oggi, tutti stanno facendo soldi con il rap, perché non ci provi anche tu? Ai tempi era esattamente l’opposto, era una follia, anzi tutti quanti mi sconsigliavano di farlo, non c’è stata una persona, quando ho lasciato la scuola, che mi ha detto ‘hai qualche possibilità’, quindi figurati. Però sono contento che siano cambiate le cose, che si sia allargata un po’ la cultura”.

Ci sono, invece, delle scelte musicali che ti penti di aver fatto e che adesso con la consapevolezza dei tuoi 30 anni, non rifaresti?

“Ma, sai, onestamente è da un po’ che non vedo gli errori come errori, perché comunque il percorso di tutti quanti è un percorso molto personale. Tutta la vita è una scelta, è un bivio dopo un bivio dopo un bivio e ogni percorso è personale, quindi non credo veramente negli errori, anche perché con il senno di poi siamo tutti quanti manager, esperti e critici. No, non ci sono cose che ho fatto nel mio percorso delle quali mi pento. Ti posso dire se fossi andato a destra invece che a sinistra in quel momento, avrei fatto più soldi, avrei avuto la vita più facile e bla bla bla, però se doveva andare così, doveva andare così. Non è questione di essere fatalista, è questione che certe scelte le devi fare per arrivare dove sei adesso, sia che vadano bene, sia che vadano male. Chiaro, se vanno bene siamo tutti più felici, stappiamo le bottiglie, però l’esperienza è fatta da quello, l’esperienza non è fatta dalle vittorie, l’esperienza è fatta dagli errori, quindi cerca di farne il meno possibile, però comunque li devi fare, se impari una lezione, comunque è una vittoria”.

Chi ascoltavi quando ti sei avvicinato al rap?

“Sono cresciuto con i classici, BiggieTupacJay ZEminem50 Cent quando è scoppiato e si sentiva anche nei miei pezzi la sua influenza. Però, in realtà, se ti dovessi dire un’artista nello specifico, non saprei, sono fan della musica hip hop, del soul, dell’R&B, di questi mondi, di tutta la musica nera. Ecco, quella magari manca un po’ in Italia, anzi manca totalmente, e che mi ha tolto fino a un po’ di tempo fa gli stimoli, il fatto che non ci sia anima nella musica italiana, il fatto che sia tutto quanto molto melodico, tutti questi motivetti orecchiabili, però poi se vai a cercare la sostanza nei dischi che escono, è un po’ fuffosa. In molti casi, non tutti, non è una critica alla scena, che poi la gente inizia a piangere. In molti casi manca un po’ di sostanza, non nei contenuti, proprio le canzoni, come le interpreti, se ci metti un po’ il cuore oppure se sei lì a cantare i motivetti”.

Non è difficile avere sempre qualcosa da dire? Per come ti ho vissuto io ascoltandoti, ho sempre visto delle fotografie, ci sono tante parti della tua vita, tu le hai sempre messe nelle tue canzoni e i tuoi dischi li ho sempre vissuti come se fossero una traccia unica, non ho mai visto cose spezzate

“Certo, quello, il fatto di fare degli album che puoi ascoltare dall’inizio alla fine, è perché comunque è come piace a me sentire i dischi, mi piace sentire quel tipo di dischi, quelli che metti su in repeat, più che senti il singolo e poi ti viene da mandare avanti. Preferisco i dischi da mettere in repeat, quindi è per quello, è perché mi piacciono quei dischi e cerco anch’io nel mio piccolo di fare i miei così. Il fatto di avere qualcosa da dire, si tratta un po’ di tenersi ispirati, se hai una vena creativa e fai fluire questa vena in quello che scrivi, in quello che dipingi, se hai una vena artistica e creativa fai uscire le cose che provi e che ti succedono in quello che scrivi. Quindi, visto che delle cose mi succedono, alla fine ho 30 anni, sono molto giovane, sono molto curioso, vado in giro, vedo gente, faccio cose, però davvero e quindi queste cose escono. Quando farò un altro tipo di vita, probabilmente smetterò di fare rap, perché qualcosa da dire lo devi avere”.

Oltre ad essere stato molto interessante conoscere Mondo Marcio, confrontarmi con lui sia come persona che come artista, mi ha colpito molto la sua umanità. É stato uno dei pochi ad aver sprecato un messaggio per ringraziare

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1 Commento

  • Dalila Porta
    8 Maggio 2018

    sicuramente gli episodi dell’infanzia influenzano i lavori degli artisti, il rapporto con i genitori e i suoi sentimenti erano ben spiegati già nel suo primo singolo
    complimenti comunque! per aver conosciuto un rapper italiano

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