Io, Ensi e l’hip-hop

Non sei hip-hop quando parli di hip-hop, sei hip-hop quando non parli di hip-hop

Ho incontrato Ensi in occasione della presentazione del suo ultimo disco, “V” e abbiamo parlato a lungo, non solo del disco, ma anche della sua visione del rap e della cultura hip-hop. Ensi è uno di quelli che non smetteresti mai di ascoltare, che ha sempre qualcosa da insegnarti, senza mettersi in cattedra parla, ti racconta, ti spiega, si confronta con te e dopo aver scambiato quattro chiacchiere con lui torni a casa con un bagaglio culturale in più.

Sarà perché viene dal freestyle, sarà per la sua immagine, per le sue rime, per i suoi testi, per il suo modo di vivere e interpretare il rap, Ensi resta uno dei pochi veri rappresentanti di questo genere musicale nel nostro paese e un forte esponente della cultura hip-hop in Italia. Quando vedo Ensi, quando ascolto un suo pezzo, quando mi soffermo a capirne il testo, quando lo vedo su un palco, io vedo il rap, quello vero, quello puro.

Questa musica è nata parlando alle persone ti rende parte di qualcosa che ha un identità e senza distinzione di ceto sociale, di razza o colore è la voce di chi non ne ha e se non passa di moda è perché non è una moda, si rinnova a quarant’anni e siamo sempre in voga, due parole di tre lettere non è uno slogan, è un fenomeno che ha condizionato la storia”. Queste sono le parole di Ensi in Rock Steady, sono passati tre anni da allora, ma quello disegnato da lui è il miglior concetto di rap, quello più veritiero, che abbia mai letto.

Anche in “Tutto il mondo è quartiere”, Ensi parla alle persone di situazioni reali, nelle quali tutti posso identificarsi, o che comunque hanno visto o vissuto almeno una volta nella propria vita. E’ questa la vera essenza del rap, è per questo che il rap è nato, per parlare alle persone, non per la versione deluxe, per itunes, ma per chi si siede ancora sul fondo del bus o per chi, come lui, oggi ha 30 anni e vive le sue stesse esperienze.Io ti ho sempre percepito rap a 360°, secondo me sei rimasto uno dei pochi ancora fedele a questa musica e a questa cultura, tu come lo vedi il rap adesso?

Io ti ho sempre percepito rap a 360°, secondo me sei rimasto uno dei pochi ancora fedele a questa musica e a questa cultura, tu come lo vedi il rap adesso?

“Guarda, vorrei che le mie parole venissero viste in maniera costruttiva, più che in maniera distruttiva, perché io, in tutto quello che dico, anche nelle mie canzoni, più che levare punti agli altri, porto punti a me ed è proprio questa la chiave di lettura. Io non dico mai che una cosa mi fa cagare perchè mi fa cagare, io ti do il mio punto di vista. Non potrei essere diverso da come sono, non so se è il rap, hip-hop, o come vogliamo chiamarla, io so solo che sono fatto così, non riesco a scendere a compromessi, perché fortunatamente quello che mi appassiona di questa musica è sempre la stessa roba. La gioia più grande che ho scoperto, lavorando al mio disco, a 3/4 del lavoro, anzi a metà del lavoro, è stata come di nuovo il rap mi abbia preso per mano, nel 2017, a 30 anni, quando penso di aver ormai visto tutto, ho suonato dal retro di un pub, agli MTV Days, ho fatto veramente di tutto e invece ancora una volta, il rap, ancora una volta la passione per la musica viene, mi prende per mano e mi dice “tu hai bisogno di dire queste cose e devi dirle così”. Non so se questa concretezza, o coerenza, chiamiamola come vogliamo, possa essere un tratto distintivo così importante, io lo spero, soprattutto in un momento molto punk, crossover, strano, difficilmente decifrabile, come quello che stiamo vivendo. Per quanto riguarda la scena, in generale, oggi, secondo me, viviamo un momento comunque positivo, perché a livello musicale, tante delle cose nuove che escono a livello mondiale, perché ricordiamoci che noi non ci siamo inventati un cazzo, quindi la maggior parte di quello che fanno gli artisti in Italia nel rap italiano è la nostra versione di uno standard che viene dettato da altre parti. Non lo dico per screditare gli altri, anche per noi è così. Noi sentiamo il disco di Jay Z, il disco di Future e poi ci facciamo la nostra idea, o ci facciamo influenzare su come vorremmo fare la nostra musica, non è sempre facile trovare la propria identità perché questa musica non fa parte del nostro correlato generico dall’inizio, noi l’abbiamo importata 20 anni dopo che sta roba è nata, quindi non ce l’abbiamo proprio nel sangue. Oggi inizia ad esserci, quindi mi dispiace vedere come queste generazioni crescano completamente disconnesse dall’ambiente dell’hip-hop, perché secondo me è quella ancora la chiave. Infatti, si può dire quello che si vuole del successo dei vari Migos o Lil Yachty, ma quando esce il disco di Kendrick Lamar o di Jay Z, ha un altro peso specifico, lo capisci che è così, non lo dico io perché sono un fan dell’hip-hop, è così, quella roba ha un altro perché. Non che l’altra non ce l’ha, ne ha un altro che non ha a che fare con sta roba, quindi un po’ vedo nel rap italiano nuovo un’omologazione dal punto di vista del sound, suonano tutti molto simili, sia per la scelta delle basi, sia per la scelta dei testi, sia per la scelta delle parole e soprattutto per la scelta delle metriche e del modo in quale vanno sul tempo. Sta roba terzinata spezzata della trap, la fanno tutti uguale, io faccio fatica a volte a distinguere, infatti, quelli che mi piacciono di più, vengono fuori perché hanno una particolarità, o nella scrittura o nella voce, se no, per il resto, il grosso che sta là sotto, è proprio omologatissimo, per questo vengono fuori in pochissimi. Vengono fuori quelli che spingono su qualcos’altro, o per il testo, o per l’immaginario, anche per le robe frivole, ma almeno è qualcosa di diverso e hanno diritto di esistere, poi secondo me solo il tempo gli darà ragione o meno, non sono di certo io a dovergliela dare. Fare hip-hop non vuol dire rintanarsi in qualcosa che non rappresenta l’andazzo odierno, non è dire io faccio questo perché questo è il vero gusto dell’hip-hop, mi vesto camouflage perché è hip-hop, l’hip-hop è anche tutto quello che stanno facendo molte di queste generazioni nuove perché la storia parla per noi. L’eccentricità, il personaggio, penso agli Outkast, a Flavour Flav, stiamo parlando di immaginari pazzi, lo stesso Eminem quando è uscito che immaginario aveva? Quindi ci sta, fa tutto parte del gioco”.

Tu però resti sempre fedele alle tue origini e al tuo modo di vedere questa musica

“Il mio modo di vedere sta roba, però, è sempre stato aperto, io il mio primo pezzo con l’autotune l’ho registrato nel 2010, lo usava Kanye West, lo usavano gli artisti che io seguivo allora, lo usava la scena francese, che io ho sempre seguito. Ora sembra che se usi l’autotune sei il male. Oggi il mio modo di fare rap non ha bisogno di quello, non ce l’aveva neanche prima, ho fatto un paio di canzoni così, ma è una questione proprio di stile. Se un ragazzo oggi si appassiona al rap e si sente più vicino a Travis Scott, proverà a rifare come Travis Scott, non proverà a rifare come facevo io, che rifacevo i Non Phixion o Nas, perché un ragazzino oggi non vuole rifare Jay Z, perché non lo vede figo come vede fighi i Migos, è sempre un po’ uno specchio di quello che uno si vive.”

Il fatto di parlare alle persone, di creare degli immaginari in cui la gente si possa rispecchiare è una costante che è sempre stata presente nel tuo modo di fare rap

“Sì, infatti quando io dico il nuovo me contro il nuovo niente, questa frase vista così sembra una crudezza, sembra che io mi evolvo mentre gli altri non si evolvono, invece è proprio l’opposto. Il nuovo me è saper affrontare questa novità rimanendo me stesso, che non è da tutti. Io vedo artisti, anche più grandi di me, snaturarsi per essere sul pezzo, io se dovessi fare finta oggi di avere 20 anni, non sarei quello che sono. Infatti, quando ti dico vuoi parlare di motorini e di piazze, io sono di Alpiniano e ho già visto ste cose, non mi impressioni dicendo che il tuo amico muove mezz’etto di fumo, non me ne frega un cazzo, perché tanto, alla fine, ai 30enni, alla gente vera che lavora, non gliene frega niente. Puoi ingannare qualcuno, puoi essere figo per qualcuno, se lo dici in maniera figa, sei figo pure per me, ma non me la bevo, non mi interessa, non ho bisogno di quella roba là. Ci sono dei ragazzi nuovi che mi rendono orgoglioso di questa nuova scena, Vegas, Izi, Rkomi, Tedua, Dani Faiv, anche Ghali a modo suo, lo rispetto molto. Non vedo antagonisti e protagonisti. Io sono rimasto anche deluso dell’hip-hop, io sono uscito in un momento storico nel quale l’hip-hop era quasi dogmatico, c’erano i buoni e i cattivi, i veri e i falsi, poi mi sono accorto, andando avanti, che questa cosa non era così. Hanno cercato di farmi vedere che era così, motivo per il quale siamo arrivati alla grossa depressione del 2000, perché a quel momento storico che ha inventato lo stile, noi dobbiamo tutto. Quella scena però si è autodistrutta, non è stata in grado di veicolare il cambiamento, di motivare la crescita e l’evoluzione di questa musica, si è quasi spaventata dall’arrivo delle cose nuove, tra le quali c’ero pure io. Poi in me hanno visto uno che aveva salda nella testa questa cultura, ma anche se non fosse stato così, devi accettarlo, non puoi pretendere che sia diverso. Poi possiamo parlare di molto altro, ma si entra nel gusto personale, a me fanno schifo delle cose oggi, che mi facevano schifo ieri e che probabilmente mi faranno schifo anche domani, ma quello è il gusto e grazie a Dio che c’è il gusto se no ascolterebbero tutti la stessa musica.

Non è che tu sei hip-hop quando parli di hip-hop, è proprio questa la differenza, tu sei hip-hop quando non parli di hip-hop. Io non è che sono hip-hop perché ti cito i 300 negri più forti della storia che hanno rappato, fatto produzioni, o il fotografo più innovativo, io sono hip-hop quando utilizzo questo mezzo per essere hip-hop. È tutto e niente. È come fai, è come filtri sta cosa, non è come vivi, come ti vesti, non è come la pensi, il resto sono codici, sono cose. Jay Z si metteva i baggy nel ’97 e ora si mette Burberry. Tutti hanno detto dall’inizio se ci fai i soldi con il rap sei una merda, sei una puttana, Rakim con i primi soldi che ha fatto si è comprato delle collane grosse come una testa di gatto, di cosa stiamo parlando? È tutto sbagliato. Anche la gente ha una visione sbagliata di sta cosa, come se il mainstream fosse il male e l’underground fosse il vero. Ha portato molta più innovazione il mainstream negli ultimi 5 anni, che l’underground negli ultimi 20 e questo lo posso affermare. Poi ci sono dei momenti di artisti che fanno la differenza, ben venga, ci sta, però non è hip-hop quando parli di hip-hop, è hip-hop quando riesci a essere hip-hop senza parlare di hip-hop”.

Secondo me il mainstream e l’underground hanno dato alla storia del rap italiano lo stesso identico peso, lo stesso identico contributo

“Sono d’accordo anche io. Guarda, ho visto di recente Hip-Hop Documentary su Netfix e parlavano dei Cool Cash Brother e diceva che il successo della Sugar Hill Gang, nel ’79, della prima canzone rap registrata, erano barre rubate da un altro, però ha permesso l’evoluzione di sta roba, quindi alla fine tutti hanno il loro peso nel gioco. Addirittura parlavano di Dj Hollywood che suonava nei club, suonava principalmente sul fanky, ma rappava sulla disco music, ma lui ha avuto una certa valenza solo nel momento in cui ha fatto quella roba lì, come altri. Quindi non si può dire cosa è e cosa non è, si può parlare di gusto, di scelte artistiche, di coerenza, ma fino a un certo punto perché quello che fa la differenza è sempre la qualità della musica e la visione dell’artista stesso, perché Jay Z non è mai sceso a compromessi, però ha sempre fatto quello che voleva e l’ha sempre fatto al top e l’ha fatto con canzoni mainstream incredibili con sua moglie o senza sua moglie e con canzoni più underground con testi più importanti. La stessa cosa vale per Nas, per Fat Joe che ha fatto le hit da club nel 2000 e nei ’90 ha fatto i dischi della D.I.T.C., cioè non è l’artista o il momento storico che sta vivendo che lo porta ad avere più o meno fan, o a essere più o meno una star, è l’idea di contorno che c’è su sta roba. Ad esempio, uno dei pezzi più socialmente fighi l’ha fatto French Montana nell’ultimo anno, “Unfogettable”, che è una hit mondiale, quasi reggaeton il beat, però lui rappa. Tra l’altro, nella strofa, non dice cose molto fighe, a tema, però è andato a fare il video in Uganda e mi piace di più lui che vedere uno sporco in un angolino che mi parla dell’hip-hop con le tecniche, le metriche perché poi la vita non è quella, non è quanto sei bravo a farmi l’elenco di rapper, io ho bisogno che mi dici delle cose che posso interpretare e capire, è così che il rap ha cambiato la mia vita. Il rap mi ha dato uno schiaffo perché mi parlava meglio di come mi parlavano gli altri. Mi parlava meglio dei miei amici, dei miei professori, di mia madre, io ascoltavo i rapper e dicevo questo ha detto una cosa che penso anche io. Sì, poi dentro parlava di hip-hop e mi sono appassionato a quel codice, a quel modo, ma all’inizio io non ne sapevo niente, mi ha attratto che stava dicendo una cosa figa, come la vorrei sentir detta io, quindi è questa la chiave, secondo me. Questo è un discorso sopra le parti, però, era per parlarti del momento storico in cui viviamo, qua fanno tutti la gara tra buoni e cattivi di nuovo, a vedere chi è più hip-hop e chi lo è meno. Nessuno può venirti a dire se una cosa è hip-hop o meno”.

Per me il rap oggi ha raggiunto un traguardo, quando io vedo i tuoi colleghi in televisione o alle sfilate, penso finalmente. Oggi il rap è ovunque al pari degli altri generi musicali

Il rap principalmente, perché all’inizio la cultura hip-hop prevedeva la figura del dj come figura portante. All’inizio era la musica, era il dj, non c’era il rap, è arrivato qualche anno dopo e ne ha completamente sovvertito le sorti, cioè ha portato il rapper, che era un elemento di contorno per il dj, a stare davanti al dj. Ora è il rapper che dice e che fa, quindi anche tutta l’idea delle forme artistiche dell’hip-hop viene un po’ a perdersi quando una delle quattro cose, che in questo caso è il rap, esplode in una maniera incredibile. Molti dicono la cosa che mi dispiace del rap è che non ha più niente a che fare con l’hip-hop, ma non è sempre così, delle volte le due cose ancora si sposano. Però non è che io sono hip-hop perché mi metto i baggy e ti parlo del primo braker che ha girato sulla testa, quello non è essere hip-hop, è essere informato. I rapper che hanno cambiato le sorti del mondo parlavano alle persone di cose che potevano capire. Poi quando Jay Z in “Empire State of mind” dice “Afrika Bambaataa shit, home of the hip-hop”, dice la merda di Bambaataa è la casa dell’hip-hop, New York. Mi piace sentire uno come lui che cita Bambaataa o altri che citano altri, è importante perché la gente deve anche capire da dove arriva sta roba. Ma come possiamo pretendere che un ragazzo di 18 anni, oggi, nel 2017, si senta parte di una cultura che non conosce e non vede? E anche se la vedesse, non se ne sentirebbe parte, perché sono cambiate le mode, è cambiato tutto ed è normale. Nel primo gruppo di Dre, lui era vestito con i completi, si facevano la permanete i rapper, di cosa stiamo parlando?

La gente non sa un cazzo e quindi si permette di parlare. Ora i ragazzini fanno i balletti e si vestono strani, per me se rappi bene e dici delle cose fighe, ti puoi anche dare fuoco, perché è quello l’hio-hop. Flavour Flav aveva una sveglia enorme attaccata al collo, per tutti poteva sembrare un coglione, per noi era un eroe. Io la vedo così, la vedo in maniera molto umana, perché conosco la storia, conosco com’è andata, sono fan di questa cosa, non mi potete vendere una cosa per un’altra, non mi potete parlare di buono e di cattivo, o di vero e di falso, quello di cui possiamo parlare, se vogliamo parlarne, è la qualità della musica, ma lì entra in gioco il gusto personale”.

E’ anche giusto che ci siano rappresentanti giovani della scena nei quali i ragazzini possono ritrovarsi e rivedersi

“Ma certo, è normale che si sentano più rappresentati da Ghali o da Sfera, ma è giusto perché hanno più o meno la stessa età. La cosa importante però è fare in modo che ti seguano nel tempo. Io non critico la scena nuova sotto nessun punto di vista, se non quelli che non mi piacciono artisticamente, quello che penso io è con longevità tu riesci poi a fare il giro? Tu riesci, da dove sei adesso, tra dieci anni ad essere ancora a quel livello di visibilità, aver fatto crescere i tuoi fan con te? Perché esiste un momento storico, nella vita di ognuno, che è l’adolescenza, che non appena scatta, cambia tutto. Io mi vergognavo dei miei ascolti da 13enne quando ne avevo 14 e ne avevo 14, non 25, mi vergognavo degli ascolti di un anno prima, succederà a tutti i ragazzini e a tutte le ragazzine d’Italia. Le mie compagne di classe ascoltavano i Take That e poi cresciute hanno scoperto altre cose, quindi ci sta e la musica è fatta in questo modo. Questo discorso è un discorso generale, che meno concilia con l’hip-hop, però dobbiamo essere lo specchio della nostra generazione, motivo che porta questi ragazzi a essere molto attenti alla moda, all’apparenza, molto social network addicted, che riescono a essere molto presenti. Puoi avere l’idea più figa del mondo, ma poi devi incastrare le cose, quindi è facile criticare quelli che hanno visibilità, prova ad avercela tu visibilità, non è semplice. Io ho cercato sempre di non buttare via quello che ho fatto fino a ieri, di guardarmi allo specchio e essere felice, però al contempo di farci dei soldi e di spaccare il culo perché è questo che bisogna fare. E chi tiene lontano questo discorso dall’hip-hop, non conosce l’hip-hop, perché l’hip-hop arriva da questa esigenza, di parlare delle mie cose, venirne fuori e affermarmi per fare in modo che gli altri si affermino come me, per fare in modo di dare agli altri qualche cosa in cui credere e avere qualcuno da seguire e dire “cazzo quello era del mio quartiere e rubavamo le biciclette e adesso riempie gli stadi”. Quello è importante, non è solo tutto sto discorso figo che abbiamo fatto, perché poi contano i numeri”.

Il rap salva le persone secondo te?

“Con me è stato così. Io mi ricordo quando prendevamo il pullman da Albignano per andare a Torino in centro, partivamo con il 32 in 40 ragazzini e 39 si fermavano alla discoteca, mentre io proseguivo con una signora con le buste della spesa e andavo dall’altra parte della città a fare una serata sfigata con 60 persone perché suonava Dj Double S e mettevano l’open mic e io potevo prendere il microfono e rappare e tutti i miei amici andavano in discoteca. Però molti dei miei amici si sono persi dietro a stronzate, mentre io non sono mai stato attratto da quelle stronzate. Sono sempre stato più attratto dal voler fare questa cosa, quindi, a me, in qualche modo sì, ha contribuito molto a salvarmi. Io credo che se non avessi conosciuto l’hip-hop nella mia vita, sarebbe andato tutto molto diversamente, perché ha motivato le mie giornate, però, ti ripeto, devono anche succedere delle cose. E’ normale che sti ragazzini a 13 anni vogliano rappare tutti, se vai in una scuola media, ascoltano solo rap, tutti vogliono rappare”.

Secondo me crescono anche meglio, io preferisco un ragazzino di 13 anni che ascolta, te a butto lì, la Dark Polo, a un ragazzino di 13 anni che ascolta Laura Pausini

“E’ una cosa tosta questa che hai detto e in parte sono d’accordo. Quei ragazzi hanno fatto qualcosa, che dir se ne voglia, poi musicalmente, ovviamente, sono lontanissimi, però posso dirti un’altra affermazione, io non conosco una canzone di quei ragazzi, a parte “Sportswear” e qualche rima perché mi fanno ridere, però preferisco di più vedere sti ragazzi così, che vedere magari i ragazzi della loro età che vogliono fare il real hip-hop, perché li trovo più catch. Trovo più contestualizzati loro di altri, il discorso è vario, però quello che ti voglio dire è che dall’altra parte, se mio figlio fosse completamente attratto da quella roba, mi girerebbe il cazzo, perché non hanno quella visione che ho io e li vedo lontano da me. Non sono quello che vede le cose diverse dalle mie come il male, perché ci sono tante cose che non sono la mia cosa, ma le apprezzo. Se mio figlio ascoltasse Ghali, sarei più contento, “fanculo tu e le tue bad vibes”, quel ragazzo dice questa cosa. Sono tutti ragazzi che conosco e di ognuno ho la mia visione e alla fine la verità sta un po’ nel mezzo, perchè per quanto musicalmente Laura Pausini sia una cosa che per un ragazzo giovane sia ancorata a un’altra roba, non posso neanche dirti che preferirei che mio figlio ascoltasse la DPG, perché comunque sono padre. Se mio figlio dovesse andare fuori di testa per i vestiti costosi, la cocaina, o la codeina e per quel modo di fare un po’ gangsta con le collane al collo, lo vedrei troppo lontano da come sono cresciuto io, però sono pronto a tutto. Poi bisogna anche vedere come si evolvono le cose, ci sono delle cose che magari sono di passaggio, Justin Bieber era il re dei bimbi minchia e invece oggi ha Nas nel disco”.

 

Parlando di freestyle, Ensi mi ha detto “siamo cresciuti così, con il rispetto vero e il passaggio di testimone da quelli prima di noi, perché comunque quello è importante. Ecco, questa per me è la cosa più hip-hop che esista nel mondo, cioè quando quelli con dieci anni in più di te, che hanno fatto la storia, vengono e ti dicono sì, quello è l’attestato per me. Di fatti io cerco di non essere mai di manica stretta con i complimenti, ai ragazzi giovani, se ti capiterà di intervistare qualcuno, a molti di loro ho scritto, quando mi sono piaciute le loro cose, gliel’ho detto. Spesso hanno un po’ paura della generazione prima di loro, che magari li giudica, li vede lontani, invece, quando c’è da dire bravo, dovremmo dire bravo, al posto di fare i fighi e tenerci il nostro orticello coltivato, perché quella è la chiave e il passaggio generazionale è importante”.

 

 

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