Quanto ci mancano i Club Dogo?

Domanda assolutamente retorica perchè la risposta comune e unanime è una sola: tantissimo!

Sempre più spesso metto le loro canzoni e i loro dischi, li passo tutti e oltre a trovare alcuni dei loro testi ancora assolutamente attuali, penso che se tornassero loro oggi cambierebbero nettamente la direzione dell’intera scena sia per contenuti che per sonorità. L’anno scorso avevano scatenato il panico facendoci credere che con i 10 anni di ‘Vile Denaro‘ sarebbe successo qualcosa, molti, me compresa, sono rimasti delusi nel non vedere una reunion del gruppo, ma solo una ristampa del disco. Certo, mi rendo conto che siamo tutti un po’ nostalgici dei bei tempi ormai passati e che sicuramente a livello di business Guè Pequeno campa meglio a fare da solo, lo stesso vale per Don Joe che con Dogozilla e i beat lavora lo stesso, idem per Jake La Furia che ormai ha trovato la sua strada stilistica. E’ forse anche vero che se tornassero oggi all’età di quasi 40 anni, non sarebbero come ce li ricordavamo, non potrebbero più fare i tamarri alla ‘Spacco tutto’ o i cazzoni alla ‘Pes’, siamo seri, ce li vediamo Guè e Jake (padre di famiglia) a fumare canne e giocare ai videogiochi? Oddio, forse sì, però non sarebbero forse credibili come lo erano nel 2012.

E’ stato difficile per i Club Dogo entrare nelle nostre case, è stato difficile essere accettati dalla critica, dalle radio, dalle tv, ma una volta entrati è come se non se ne fossero mai andati. Non hanno fatto niente per compiacersi il pubblico, nè tanto meno la stampa, i loro testi sono sempre stati così duri e crudi, hanno sempre raccontato la realtà, la vita di Milano, in un modo così vero, senza addolcire nulla, senza mascherare nulla, eppure sono sempre lì, nel cuore di tutti noi. Niente era facile nel 2003 quando uscì ‘Mi Fist’ e niente lo era neanche nel 2006 con ‘Penna Capitale’, l’Italia non voleva il rap, Fibra e Mondo Marcio con ‘Applausi per Fibra’ e ‘Dentro la scatola’ stavano provando a venir fuori, ma le loro strade erano tutt’altro che in discesa, le critiche, i titoli sui giornali “FERMATE QUEL RAP” erano tantissime e i Club Dogo, con i loro testi, di certo non erano ben visti. 

Ai Dogo va sicuramente il merito di aver descritto il nostro paese e la nostra Milano, nel modo più crudo e terra terra possibile. “Questo rap fa brutto come l’ultima corsa sopra la 91“. Chi è di Milano sa quanto vera è quest’affermazione, sa quanto sia mal frequentata quella linea. Ma anche pezzi come “Pes“, che descrive perfettamente le giornate di molti ragazzi passate a fumare e giocare ai videogiochi, o “Chissenefrega“, “Pennacapitale“, “Briatori“, “Serpi“. Loro che riuscivano a mantenere il loro stile nudo e crudo anche in pezzi più dolci come “Tornerò da Re“, “Lisa“, “Amore infame” e “All’ultimo respiro“. “Vorrei rubare i sogni a chi è felice e metterteli dentro la testa” resta per me una delle frasi più belle di sempre, quasi al livello di “sono figlio unico di una madre unica“.
Grazie ai Club Dogo siamo passati dal gesto con le corna di Jovanotti a modi di dire che sono entrati nel gergo quotidiano, come “Ciao proprio“, “Bella zio“, “Madama“, “Bima“, “spacco tutto” e molti altri. Ed è ancora colpa dei Club Dogo se intere generazioni hanno iniziato a indossare le Nike, il New Era e a vestirsi di nero, creando di fatto una nuova moda, un marchio riconoscibile, uno status symbol. Del resto “il Dogo sta alle Niker come gli stivali stanno ai piedi di un biker” e “il peggio con il New Era al rovescio“.
Il loro mondo é l’immaginario di una fetta importantissima di pubblico italiano che voleva e vuole quello che loro portano con cognizione di causa. La poetica nella loro musica è schiacciata tra un certo tipo di ignoranza cafona storicamente italiana e di benessere economico ostentato da discoteca.. Ci hanno fatto vedere e ascoltare di cosa è fatta davvero l’italia. I Dogo non aspirano al meglio, vogliono solo uno spazio al vertice per meritocrazia. Dogocrazia. È sono stati talmente bravi che se lo sono preso. Raccontando il peggio al meglio, lo rendono cool fino a che tutti ne hanno voluto un pezzo, ma non ne hanno dato una chiave di lettura, non cercano una morale né una redenzione. E gli italiani, per questo motivo, li sentono molto vicini.

Era luglio del 2015 quando sotto un sole rovente e un’afa che persisteva anche alle 11 di sera sono andata al loro ultimo concerto.

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Quella erano saliti sul palco Marracash e Vincenzo da Via Anfossi, e hanno ricordato a tutti noi, con “Puro Bogotá“, qual era la Dogo Gang e che resteranno sempre “Dogo Gang 4eva”.
Indimenticabile anche il momento in cui, insieme a J-Ax, hanno cantato “Brucia Ancora“.
Mi avevan detto che sarebbe passata con l’età e invece brucia ancora
E brucia ancora anche per me, che mi ritengo Dogo Fiera per sempre. Io che li amo e li ascolto da sempre, da quando erano ancora Sacre Scuole, da quando erano ancora quelli di Mi Fist e per me, non mi vergogno a dirlo, resteranno sempre quelli di Mi Fist. La Dogo Gang resta l’unica e vera Gang italiana per me. Ricordo i primi pezzi, quando Marracash era ancora Iuza Delle Nuvole e Dargen D’Amico era Corvo D’Argento. Ricordo i loro primi concerti, quando eravamo sì e no in 50, quando hanno creato quel logo che li ha resi celebri e ricordo come fin dal giorno zero mi hanno parlato così come nessuno era mai riuscito a parlarmi. Ricordo quando Guè Pequeno ha provato a farsi vedere indossando in modo di sfida la maglietta ‘Io amo Guè Pequeno’ andando di fatto contro in stile assolutamente hip hop al collega Fabri Fibra e alla sua storica t-shirt ‘Io odio Fabri Fibra’, oggi è tutto diverso, oggi c’è Instagram con le sue Stories per dissare e farsi notare.
Il loro modo nudo e crudo di raccontare la nostra Milano, di raccontare con una certa “ignoranza” il mondo dei giovani e l’Italia, le rime di Gué Pequeno che aprivano le loro canzoni con “rimo da quando i frá ti rubavano il Barbour“, io che il Barbour l’avevo e ricordo quando a 15 anni andavo in discoteca a Milano e se non stavi attenta, te lo rubavano davvero.
Sono loro coetanea e sono cresciuta con le loro rime e rivedevo nella realtà della nostra città quello di cui loro parlavano nei loro testi e ora, riascoltandoli, mi sale una certa malinconia e non nego che ogni volta che ascolto un loro pezzo lo faccio con il volume a palla e lo canto a squarciagola. La loro energia di quando aprivano i concerti con “Spacco Tutto” e la loro “dolcezza” che ci ha regalato canzoni come “Una volta sola” che per me è “L’alba chiara” del rap italiano.

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